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Categoria: Testimonianze
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Castagneto di Galantom - Da un ricordo di Serra Maria risalente al 1934

 

Castagneto a Medelana

 

            Uno dei lavori più importanti che avevamo da fare era quello del castagneto. A Caveriana di Vedegheto il castagneto lo avevamo al Castellaro. Per raggiungerlo dovevamo andare in fondo alla Venola, poi su al Castellaro fino vicino alla Madonnna di Rodiano.  In primavera lo si doveva sburgare, cioè si tagliavano i rami secchi ed i rami che andavano su dritti, perchè quelli tirano su il buono. L’albero doveva rimanere aperto, con i rami verso l’esterno.  Con quell’operazione veniva fuori anche la legna che portavamo a casa con le bestie ed il biroccio, da bruciare per l’inverno. Poi verso fine agosto, inizio settembre si iniziava a segare l’erba, in modo da averlo pulito per la raccolta delle castagne. Il percorso per raggiungere il nostro castagneto era molto lungo, e passava giù in fondo alla Venola e poi su dall’altra parte della vallata. Si passava mezza giornata solo per andarci nel castagneto.

Quand’era tempo di raccogliere le castagne noi andavamo lassù tutte le mattine, perché qualcuno poteva sempre venire a rubartele. Si doveva essere là presto, quindi andavamo via quand’era ancora buio. Se venivano per rubartele avrebbero cercato soprattutto i marroni, che sono più grandi e più buoni, ma le cui piante sono abbastanza rare, perché debbono essere innestate da piccole. Noi avevamo un solo albero di marroni. Il resto erano tutte castagne.

  

Antico essicatoio fotografato da

P. Scheuermeier nei primi anni 30

 

Dopo averle raccolte le castagne le portavamo tutte le sere al  Ronctradè dove le pesavano e scrivevano in un librettino, poi alla fine facevano i conti.  In quel casamento lì avevano il graticcio, e loro prendevano le castagne da tutto il vicinato. Quando gli avevi portato nove quintali di castagne lui ti dava tre quintali di castagne secche. Quei tre quintali però non erano i tuoi, perché loro le mischiavano tutte nel graticcio e te le davano già sbucciate, perché andava una macchina a batterle. Un tempo le pilavano, con le pile ed il rampone. Un attrezzo che sembrava una vanga. Le lavoravano dentro ad un contenitore a forma di coppa da champagne, ma era grande mezzo metro ed era di legno. Lo riempivano a metà di castagne e le pilavano finchè la buccia era completamente staccata dalle castagne. La pila era una stanga con dei ramponi di ferro e con un piede lo facevi andare su e giù dentro al contenitore. Poi le vassuravano con la vassura, in modo da separare definitivamente tutte le buccie.  Quando papà era giovane dice che duravano una settimana o due a pilare le castagne secche. Andavano poi tutti quelli che avevano le castagne in quel graticcio lì, poi facevano a turni, con cinque o sei pile.

 

Nella foto:

pillatura, fotografata da P. Scheuermeier

 

Man mano che arrivava una  carica di castagne lui le pesava e le vuotava nel graticcio. Se ti toccavano tre quintali di castagne secche un quintale e mezzo le dovevi dare al padrone. Ti rimaneva un quintale e mezzo.  Quando noi avevamo fatto il nostro raccolto, e dopo avere fatto tutte le divisioni con il padrone, con la rimanenza che era proprio nostra una parte andava per essere macinata,  per fare la farina per la polenta, ed un’altra parte le sceglievamo per farle bollite.

Andavamo solo noi bimbi, e trovavamo a fatica la strada  per andare su. Con  un sacchetto per uno ed un paniere andavamo via a piedi, al mattino tanto presto che era ancora buio e iniziava a fare giorno solo quando arrivavamo lassù. Ogniuno raccoglieva e le metteva nel suo sacchetto, poi alla sera lo portavamo là al Ronctradè, che erano circa due chilometri. Quando ne trovavamo molte facevamo due viaggi, le portavamo a mezzogiorno ed alla sera. Una dozzina di chili per volta.

A confinare con noi nel castagneto c’era uno che abitava lassù, in un podere di sua proprietà chiamato la Lama. Noi lo chiamavamo Galantom, perché lui diceva sempre:

“io sono un galantuomo”. Il suo castagneto era tutto recintato, con il filo spinato, e lui raccoglieva tutto in una volta: chiamava le raccoglitrici, ed in una quindicina di donne più la loro famiglia iniziavano da un lato e raccoglievano tutto in quattro o cinque giorni. Lui ne aveva molte, e quando noi vedevamo che non ne avremmo trovare nel nostro castagneto passavamo sotto al filo, perché di là erano fitte così. In cinque minuti riempivamo il paniere poi andavamo a vuotare. E dopo ci rimaneva il tempo per divertirci. Prendavamo con noi un barattolo di latta, poi nel bosco facevamo il fuoco e cuocevamo le castagne. A quei tempi il castagneto era sempre pulito come un prato. Mangiavamo caldarroste e balogi a crepapelle, e ci riempivamo la pancia  come dei botti. A mezzogiorno lui di solito passava. Se ci vedeva nel suo castagneto ci urlava dietro:

“hou houu, non ve lo ha detto mio figlio?  non è micca passato Pio?  non vi ha micca detto Pio che sono ancora da raccogliere?” .. “lì  sono da raccogliere sapete?  andate mò via ragazzi, fatemi mò un piacere, ve l’ha detto Pio?   è pure passato prima”

e noi sotto al filo spinato e via che scappavamo con il nostro panierino. Lui invece era lento, e camminava con la zanetta. Noi eravamo già spariti là in fondo a vuotare le castagne nel sacchetto. Dopo, quando lui andava a mangiare, noi ne raccogliavamo un altro paniere, poi fino a sera era baldoria.  Ci divertivamo da matti, perché lì erano fitte, nei fossettini le spingevamo dentro al paniere a manciate.  Facevamo anche una figura della madonna. A volte, quando piovviginava, papà  diceva:

“oggi ci vado io nel castagneto”

Alla sera lui tornava sconsolato

“io ne ho trovato solo un mezzo paniere”  e io gli dicevo:

“ah, noi ieri le abbiamo raccolte tutte“

Perché lui non ci andava micca in quello di Galantom.

Galantom era il padre di Pio. Pio aveva sposato una che si chiamava Maria, e lei aveva dei soldi. Era figlia unica di uno che aveva due o tre poderi. Chissà perchè, ma lei sposò questo Pio. Ma lui era un pò incantato.  Una sera lei era all’ospedale a Vergato per l’appendicite, e loro due lassù contro al fuoco: ogni tanto Pio diceva a suo padre:

“hou, sentite anche voi dei rumoretti strani?“

“ah, li sento io“

“saranno i topi eh ?   eh papà?”

“ah, saranno i topi“

invece si era incendiato un legno su per il cammino. Forse avevano fatto troppa fiamma con i bachetti ed il calore aveva fatto incendiare un trave scoperto su in alto.  Loro si resero conto di quello che succedeva solo quando sentirono questo rumore prolungato: “vvvuuhmm”  

“bè, ma cosa è quello, ma tira un vento così ?“

Guardarono sotto al camino  e videro il fiammone che andava già fuori dal tetto. Di sopra nella stanza il fuoco aveva già attecchito nell’armadio.

“Pio  Pio“   urlò Galantom    “Va a chiamare quelli della Serra, vai, valli a chiamare”

alla Serra c’erano due fratelli: uno si chiamava Toni e l’altro Gigino, che erano poi i fratelli della Gelsomina di quelli di sotto che abitavano lì con noi a Caveriana.  

Pio venne giù alla Serra, poi andò sotto la finestra ed iniziò a cantilenare:

“Tonii  Giginoo   oh   Tonii  Giginoo,  noi bruciamo sapete?”

quando venivano a Caveriana a veglia dalla loro sorella a volte raccontavano questa partita, e noi cinni ci divertivamo un mondo  a sentire, perché li conoscevamo, erano quelli ai quali prendavamo via le castagne.

Appena Toni e Gigino capirono la situazione si infilarono qualcosa al volo e via di corsa su per i sentieri. Pio invece andò a casa per la strada, alla lunga. Arrivò a casa che loro avevano già portato fuori quel po’ che si poteva ancora salvare. Ma la casa dentro era bruciata tutta. Portarono fuori poco, qualche sedia, la credenza, solo la roba della cucina, su per aria era già bruciato tutto.

Il giorno dopo Galantom andò a trovare sua moglie all’ospedale.

“Maria, ho una cosa sai da dirti“

“cos’hai da dire, dì pure“

“hèi, non dormiamo micca più in casa vè”

“bè?  e dove dormite ?”

“nel graticcio, abbiamo bruciato un po’ in  dentro”

“come indentro” chiese lei

“bè, i muri ci sono ancora per di fuori, ma”

“hai almeno sgomberato l’armadio che ci sono tutti i soldi dentro?”

perché allora non si usava portarli alla banca, si faceva un rotolo e si teneva in una cassettina di legno.

“sarai almeno andato nell’armadio a portare fuori i soldi, che sai che erano nella cassettina“

“non ci ho micca pensato vè Maria“  disse lui

Forse aveva  sei o sette mila lire, che a quel tempo era un patrimonio. Erano soldi che le avevano dato i suoi quando partirono.

Anche altre case del nostro vicinato avevano il castagneto lassù al Castellaro. Quelli della Tomba, che erano ancora più lontano di noi, perché abitavano più su verso Monte Pastore. Loro avevano il castagneto che confinava con il nostro, ed al mattino partivano anche mezz’ora o un’ora prima di noi per essere là in tempo. E con loro si faceva un branco ancora più nutrito di bimbi, e ci divertivamo un sacco. 

 

Eravamo tutti bimbi nel castagneto, perché in quel tempo lì c’era da seminare. Seminavano con la zappa: non potevi andare con le bestie. Facevano delle striscie con le paline fatte di frasche: una qui, una lì, in modo da capire la striscia già seminata, poi con la zappa si doveva coprire in modo che andasse sotto altrimenti la mangiavano gli uccellini. Dopo si vedeva dove si doveva ancora seminare. L’Elsa e Natalino che erano capaci di zappare andavano nel campo, io e Giuseppe che eravamo troppo piccoli per zappare andavamo nel castagneto. Il viaggio lo facevamo imbambolati di sonno. Ci si svegliava veramente solo quand’eravamo arrivati al castagneto. Per mangiare a mezzogiorno ci davano dietro una mela, un pezzo di pane, un po’ di sapore.

Ma noi non ne avremmo nemmeno bisogno, perché facevamo tante castagne cotte e caldarroste che a casa non potevano immaginare. Fossero state solo le nostre non avremmo mangiato tanto, ma c’era quello di Galantom che ci salvava.

Noi andavamo anche a spigolare. Anche se prendavamo qualcosa da Galantom non ne avevamo comunque mai abbastanza per sfamere la famiglia. In quello di Galantom, dopo che erano passate le raccoglitrici, potevi andare a spigolare, e quello non lo dovevi dividere con il padrone. Noi ne trovavamo dei panieri, perchè le raccoglitrici ne lasciavano indietro molte.

Il castagneto iniziava al Castellaro, e fino a l’ erano tutte cavedagne. Dal Castellaro iniziava la strada, e salendo, che iniziava a fare luce, noi bimbi ci davamo delle voci. Sentivamo chi c’era. Quelli della Tomba, ma anche quelli di Vedegheto, che venivano lassù anche loro. Quelli delle Case Vecchie, che era una casa  là vicino al Portone. Anche loro erano due o tre cinni che avevano il castagneto in confine con il nostro. Ci scambiavamo anche le informazioni urlando a distanza: quante ne hai già raccolte tu? io ne ho già un paniere. E noi, che confinavamo con Galantom: anch’io ne ho già un paniere, rispondevamo orgogliosi.

Poi fatta la carichetta si partiva per Roncotradito. Quando ne avevamo raccolto quel tanto, dopo si giocava soltanto, ed era tutto un divertimento. Per tornare poi a casa venivamo giù dal Roncotradito e si faceva la strada più verso Tolè. Anche se venivamo a casa tardi non ci sgridavano micca, anzi, ci dicevano di venire via dal castagneto quando non ci si vedeva più a raccogliere, perchè avevano paura che ne rubassero una.