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Eugen Dollmann Standartenführer SS (colonnello delle SS)

Il Colonnello delle SS Eugen Dolmann accompagna Hitler nella sua visita in Italia Eugen Dolmann nel 1967

 

Nato a Regensburg nell’Agosto 1900, figlio di Paula Schummerer e Stefan Dollmann, si laureò nel 1926 alla Ludwig-Maximilians di Monaco. Dal 1927 al 1930 Dollmann studiò a Roma la storia della famiglia Farnese e la storia dell’arte italiana.

Viveva in Piazza di Spagna, dove lavorava come interprete. Fu così che incontrò Himmler, quando questi venne in Italia in una visita di piacere nel 1933. L’ambasciata tedesca a Roma chiese urgentemente a Dollmann di fare da interprete e cicerone al potente capo delle SS [Gian Paolo Testa in “il compagno e la camicia nera”]. In seguito Himmler lo presentò a Karl Wolff, generale delle SS che dal 1936 era capo dello stato maggiore di Himmler, e successivamente divenne comandante delle SS in Italia.

Dal 1934 Dollmann fu anche corrispondente del principale quotidiano della Baviera. Nel 1937, dopo essere stato interprete di Himmler, ed aver guadagnato la sua fiducia, fu scelto come interprete anche per Hitler e divenne colonnello delle SS. In qualità di uomo di fiducia di Himmler venne assegnato prima a Kesselring, poi allo stato maggiore del Generale Carl Wolff, quando questi comandò le SS in Italia.

Dopo la confusine che si venne a creare fra i tedeschi con la destituzione di Mussoli del 25 Luglio 1943, e la creazione del nuovo governo Badoglio, e fino alla creazione della RSI la posizione di Dollmann divenne molto più importante. Dopo la completa invasione militare dell’Italia del nord da parte dell’esercito germanico egli ebbe un ruolo di primo piano nella gestione dei difficili rapporti che si erano creati.

Luca Canali, nella prefazione del libro di Gian Paolo Testa definisce Dollmann “il colto, raffinato e spregiudicato Eugen Dollmann, colonnello delle SS, interprete di tutte le massime autorità naziste in visita a Roma, affezionato alla famiglia Testa e quasi paternamente al ragazzo Gian Paolo che in uno slancio di patriottismo antimonarchico si arruola nella Decima Flotriglia MAS.

Dopo l’abbandono di Roma nel Giugno del 1944 da parte delle truppe tedesche, a Dollmann fu assegnata una sistemazione a Villa Roncina nei pressi di Reggio Emilia. Nella stessa località si trasferì anche l’ex prefetto di Fiume Temistocle Testa, il quale assunse un ruolo di commissario per i trasporti e gli approvvigionamenti. Evidentemente fra Dollmann e Testa si era creato un sodalizio, per affinità anche di tipo personale, fin dal lavoro che essi svolsero a Roma dopo il 25 Luglio. Era stato proprio in quella occasione che Dollmann aveva protetto l’ex prefetto Testa dalle accuse di cospirazione. La vicinanza fra Dollmann e Testa a Villa Roncina si deduce anche dal racconto del figlio di Temistocle Testa, Gian Paolo: “Il comandante Borghese iniziò a parlare con calma e con il solito impenetrabile tono di voce: - Come sai noi non prendiamo ordini né dai tedeschi né dal Governo della Repubblica Sociale che pure riconosciamo. Ma come puoi immaginare esistono comunque situazioni in cui sono necessari il nostro supporto e la nostra collaborazione al fianco degli uni e degli altri. Ecco, come sai bene a Villa Roncina, presso Reggio Emilia, con l'ausilio di un piccolo numero di soldati, vivono l'ex prefetto Testa e il colonnello delle SS Eugen Dollmann. È necessario un nostro supporto alla loro scorta. Ho destinato a te questo compito. Quindi devi raggiungere Villa Roncina. Puoi partire subito. Al di là delle intenzioni del comandante Borghese, fu certamente Dollmann, sollecitato da mio padre, a richiedere quel “particolare rinforzo”, così da sottrarmi ad altre, e forse più rischiose, missioni. Sta di fatto che, dopo l'incontro con Junio Valerio Borghese raggiunsi Villa Roncina.

 

Eugen Dollmann ufficiale agente segreto tedesco

Per riconfermare lo status particolare del colonnello delle SS Dollmann e dell’ex prefetto di Fiume Testa a Villa Roncina vale la pena di citare ancora un passo dal libro di Gian Paolo Testa dove descrive l’abbandono di Villa Roncina nell’aprile del 1945:

Villa Roncina andava dunque abbandonata e mio padre, il colonnello Dollmann e la loro scorta - tra cui appunto il sottoscritto - nella primavera del 1945 si unirono ai tedeschi in ritirata verso Nord.

Da questo si deduce che Dollmann e Testa avevano la stessa scorta.

A questo proposito mi sembra molto azzeccata la definizione della funzione di Dollmann che viene data nel sito di Wikipedia: “ufficiale agente segreto tedesco” [http://it.wikipedia.org/wiki/Eugen_Dollmann]. E a mio parere l’ex prefetto di Fiume affiancava Dollmann come uomo di fiducia della RSI.

Il 10 Ottobre 1944 Dollmann partecipò alla riunione a Bologna presso il prefetto Fantozzi. Con lui era anche l’ex prefetto di Fiume, sotto la copertura di Commissario per i Trasporti e gli Approvvigionamenti. Si potrebbe ipotizzare che Dollmann avesse un ruolo di interprete, anche se è assolutamente improbabile, perché lui era l’interprete di Hitler, e di certo il suo ruolo in quella riunione non è mai stato chiarito. Allo stesso modo non è mai stato chiarito il ruolo dell’ex Prefetto di Fiume in quella riunione del 10 Ottobre in Prefettura a Bologna per discutere della strage di Marzabotto.

In ogni caso è stato fatto notare da molti come nelle sue memorie “Roma Nazista” Eugen Dollmann non abbia detto una parola sull’eccidio di Monte Sole.

Nel suo racconto, che fu pubblicato nel 1948, e da quanto riporta Gian Paolo Testa fu scritto in casa dell’ex prefetto di Fiume, che lo frequentava come clandestino, in quanto il Dollmann era ricercato. Cito dal racconto di Gian Paolo Testa: “

“[…] proprio in quel periodo, Dollmann aveva iniziato a stendere gli appunti di Roma nazista, il suo primo libro di memorie, che erano poi trascritti a macchina da me e dai miei fratelli. Spesso capitava che venisse a pranzo da noi per poi fermarsi a dettare i suoi ricordi o addirittura a lasciare i fogli che aveva scritto nel suo appartamento di via Archimede. Come pure fui io a fare da tramite tra lui e il revisore del testo finale, Italo Zingarelli. Con il tempo Dollmann acquisì una pericolosa sicurezza che lo portò ad allentare le regole di comportamento che ne garantivano l'anonimato e ad allontanarsi sempre più spesso dal suo buen retiro/nascondiglio. Ciò lo condusse a compiere qualche leggerezza di troppo. Una sera in cui eravamo usciti insieme per andare al Cinema La Fenice, nei pressi di piazza Fiume, durante l'intervallo del film - di cui, chissà perché, ricordo ancora il titolo “Gli amanti del sogno” - fu riconosciuto da un ex dipendente dell'Ambasciata tedesca in Italia e segnalato a due agenti di polizia in servizio, presenti in quel momento in sala. Questi, al termine della proiezione, gli si avvicinarono e lo prelevarono. Probabilmente emozionati dall'importanza dell'arresto che stavano eseguendo, i due agenti si dimenticarono della mia presenza, dandomi così la possibilità di fuggire in strada dalla finestra del bagno.

 

Dollmann nel dopoguerra come agente della CIA

Nel dopoguerra Dolmann passò a lavorare per la Cia. Era infatti stato ingaggiato con l’operazione NEMO che ebbe il suo culmine nel Febbraio 1945 quando venne preso contatto con l’ex prefetto di Fiume Temistocle Testa il quale si rese disponibile a fare da intermediario per sondare la disponibilità di Dollmann a passare con il nemico [Missione “nemo” a cura di Marino Viganò].

Dollmann non ci pensò due volte, per lui infatti la situazione complessiva della guerra e l’epilogo inevitabile erano abbastanza chiari, ed era tempo di pensare alla propria salvezza.

Fu così che Dollmann entrò a far parte di quello schieramento che iniziò a trattare con gli americani.

Dopo la guerra rimase per un certo tempo sotto la protezione del clero e della CIA, ma poi venne scaricato.

E’ interessante ciò che scrive la CIA in un rapporto ormai declassificato e pubblicato al seguente indirizzo:

http://www.archives.gov/iwg/declassified-records/rg-263-cia-records/rg-263-report.html

 

Qui di seguito la traduzione del documento originale in inglese (traduzione di s.muratori)

Aprile, 2001
Analisi storica di 20 cartelle dai rapporti CIA

Dr. Richard Breitman, Professore di storia,
American University, IWG Direttore della ricerca storica

Il “Nazi War Crimes Disclosure Act” del 1998 ha dato inizio ad una ricerca di informazioni negli archivi segreti del governo americano sull’olocausto ed altri crimini di guerra commessi dalla Germania Nazista o dai suoi alleati.

[…..]

Eugen Dollmann:   Un problema ricorrente nei raccoglitori di Eugen Dollmann stava nel capire quanta buona volontà da parte americana si fosse guadagnato Dollmann attraverso la partecipazione ai negoziati segreti con Allen Dulles e Karl Wolff per ottenere la resa delle forze germaniche nell’Italia del nord poco prima della fine della guerra in Europa.

Nato nel 1900, Dollman, educato come archeologo, divenne il rappresentante personale di Himmler press oil governo italiano e press oil Vaticano. Durante la guerra lui operava attraverso l’ambasciata tedesca a Roma.

Nell’Agosto del 1946 Dollmann e l’aiutante precedente di Karl Wolff, Eugen Wenner, fuggirono da un campo per prigionieri di guerra degli alleati. I servizi segreti italiani ed il cardinale Schuster (arcivescovo di Milano, che fu un attivo supporter del regima fascista), pare volessero usare usare entrambi gli uomini, i quali furono nascosti in un ospedale psichiatrico a Milano. Il cardinale Schuster infatti intendeva millantare credito per la resa in Italia senza che l’esercito tedesco mettesse in atto la temuta strategia della “terra bruciata”. Questo racconto era però in disaccordo con la verità, percho Schuster non aveva partecipato alle trattative segrte fra Duelles e Wolff. L’agente James Angleton, della “Central Intelligence Group” (che poi sarebbe diventato la CIA), descrisse queste informazioni come una manovra della destra politica italiana, col supporto del Vaticano, per evitare i sentimenti antiamericani in Italia. I servizi segreti italiani diedero a Wenner e a Dollmann delle false carte d’identità.

Alla fine del 1946, attraverso collegamenti con la polizia italiana, Angleton riuscì segretamente a riavere Dollmann e Wenner nelle mani americane. Sorsero comunque complicazioni quando Dollmann fu indicato come testimone in un processo italiano sul massacro delle Fosse Ardeatine nel Marzo 1943 in rappresaglia per una azione partigiana.

Il Barone Luigi Parrilli, un intermediario italiano nelle trattative fra Duells e Wolff (vedi l’elenco in Zimmer più avanti), sostenne che ai due era stata promessa l’immunità. Angleton ed altri ufficiali americani replicarono che la autorità americane non avevano fatto alcuna promessa, ma siccome i due tedeschi avevano aiutato gli USA, ed in ogni caso Dollmann non ebbe nessuna parte nel massacro delle Fosse Ardeatine, riconsegnarli alle autorità di governo italiane sarebbe servito solo a minare la forza degli alleati in Italia ed avrebbe danneggiato la capacità di spionaggio americano in questo paese. Altri agenti in Italia non avrebbero più creduto negli americani.

Fu così che le autorità americane mandarono i due uomini nella zona americana della Germania a metà del 1947. La speranza era che nonostante gli inconvenienti essi sarebbero stati grati agli USA per la loro fuga, e avrebbero potuto in futuro servire come risorse della CIA. Essi furono avvertiti di non ritornare in Italia, dove avrebbero potuto essere processati per crimini di guerra, e dove la loro cattura avrebbe potuto mettere in imbarazzo le autorità americane. Dollmann e Wenner comunque erano minacciati di essere processati a causa dei procedimenti di denazificazione nella zona americana della Germania, e fra l’altro lì essi non avevano risorse o un lavoro, così decisero di ritornare in Italia. Le autorità militari americane li aiutarono a passare abusivamente il passo del Brennero all’inizio del 1948, e Dollmann iniziò a lavorare come agente per il CIC (Counter Intelligence Corps –US Army) in Italia. Simultaneamente egli iniziò a scrivere ed a vendere le sue memorie, che furono diffuse nella stampa italiana nel 1949.

Già nel 1950 Dollmann, in difficoltà finanziarie, spacciava rapporti ai servizi segreti italiani, in parte su informazioni su armi segrete che ufficiali delle SS sopravvissuti avrebbero conservato, ma in parte anche circa le sue conoscenze sulle informazioni possedute dai servizi segreti americani.

Nel 1951 pare che Dollmann possedesse un passaporto italiano sotto il nome di Eugenio Amonn, viveva a Lugano in Svizzera, dove aveva assunto due fisici nucleari tedeschi per la marina italiana. Egli affermava anche di essere in possesso di corrispondenze prima sconosciute fra Hitler e politici europei, e che le avrebbe messe in vendita.

Un rapporto della Germania Ovest del Gennaio 1952 sostenne che Dollmann era stato in Egitto nel corso dell’anno precedente ed era in contatto con Haj-Amin el-Husseini, the Grand Mufti di Gerusalemme, e l’ex nazista Hartmann Lauterbacher

In Febbraio del 1952 Dollmann fu espulso dalla Svizzera. Secondo un rapporto la sua espulsione fu causata da una relazione omosessuale che egli ebbe con un ufficiale di polizia. Egli andò segretamente in Italia, e fu nascosto temporaneamente in un monastero, e fu condotto da padre Parini in Spagna. Otto Skorzeny, famoso per la liberazione di Mussolini nel Settembre 1943, aveva avviato un network di servizi segreti nella Spagna franchista, e prese Dollmann sotto le sue ali. Un rapporto della CIA del 1952 sui tedeschi in Spagna descrisse Dollmann come infame per i suoi tradimenti, sotterfugi, e doppio gioco.

 

 

La Versione leggermente diversa data da Gin Paolo testa sulla cacciata di Dolmann dalla CIA

 

Si noti che sulla cacciata di Dollmann dalla Svizzera la descrizione data da Gian Paolo Testa, nel libro citato, è abbastanza diversa da quella del rapporto CIA. Egli infatti afferma:

Dopo I',avventurosa esperienza di qualche tempo prima, i rapporti della mia famiglia con Dollmann si erano molto raffreddati. Alcune incomprensioni,qualche equivoco, ma anche

la sensazione che una volta ai sicuro in Svizzera I’ex colonnello non sentisse troppo la necessità di conoscere la sorte di chi lo aveva aiutato nel momento del bisogno. Inoltre, con la morte di mio padre, le ragioni di quella relazione si allentarono ulteriormente e il contemporaneo attivismo politico nel PCI che avevo maturato acuirono le distanze. Sta di fatto che, in quell'estate del 1950, decisi di utilizzare le mie conoscenze al fine di realizzare un vero e proprio "colpo" per il giornale del partito.

-vogliamo fare uno scoop? So dove sta I'ex colonnello delle SS Eugen Dollmann.

Quando terminai la frase, nella sala riunioni della sezione, sotto i ritratti di Marx, Lenin, Stalin e Togliatti, Giorgio Rossi sgranò gli occhi e mi guardò dubbioso.

- In che senso?- mi rispose.

- Nel senso che ho detto. So dove si trova.

- E dove sarebbe?

- A Lugano, in Svizzera.

Giorgio Rossi era un amico giornalista della redazione romana di “Milano Sera” aveva tutte le carte in regola per accettare la scommessa e per aiutarmi nell'impresa che apparentemente era

molto semplice. Giorgio doveva fingersi un corrispondente italiano del “Chicago Tribune”, io lo avrei accompagnato a Lugano istruendolo a puntino su tutto ciò che doveva farsi dire da Dollmann.

Poi avremmo fatto pubblicare tutto su l’Unità, facendo scoppiare un bel casino. Quando gli esposi il piano, Giorgio esitò e preferì parlarne con Edoardo d'Onofrio, responsabile dell'ufficio Quadri della Direzione nazionale del partito. Edoardo era un dirigente stimato e rispettato, le cui sfuriate erano temute da tutti. Mentre Giorgio gli esponeva il piano, dietro le lenti degli occhiali i suoi occhi si muovevano velocemente, cercando costantemente un punto in cui fermarsi. Segno che ciò che stava ascoltando era per lui estremamente interessante. Ma che necessitava prudenza.

- Questo Testa non sarà un provocatore?- chiese, interrompendo il picchiettare meccanico della penna con cui aveva scarabocchiato qualche appunto su un foglio.

- Ma chi, Gian Paolo? No, lo escludo assolutamente.

- Ma, se non lui direttamente, potrebbe essere strumentalizzato da qualcuno - insistette Edoardo - E poi lui come fa a sapere dove sta Dollmann?

- Bè, insomma ... sai il padre di Gian Paolo era il prefetto di Fiume e qualche rapporto con Dollmann l'ha avuto ... poi la Decima MAS ... insomma qualche informazione può averla no?

- Sì, ma dobbiamo stare attenti. Con chi ne avete parlato?

- Con nessuno, sei I'unico.

- Bene,vi farò sapere – concluse l'esperto dirigente comunista.

Qualche giorno più tardi, dopo averne discusso anche con Pietro Ingrao allora direttore de “lUnità”, la spedizione fu approvata, e Giorgio ed io partimmo per Lugano per intervistare Eugen Dollmann.

Era la fine d'agosto del 1950, arrivammo a Lugano in treno e prendemmo alloggio in una pensioncina gestita da una compagna, almeno così ci avevano detto al Partito. Avevamo pochi soldi, documenti falsi e la consapevolezza di essere in una partita davvero complicata. Dollmann era in contatto con i servizi segreti di mezzo mondo, sicuramente con quelli americani e quelli italiani, e ingannarlo non era poi così facile. Giorgio, però, era un ragazzo in gamba e sapeva cosa avrebbe dovuto dirgli per non insospettirlo. L’unico modo per ottenere quell'intervista era far credere all'ex colonnello che nostro obbiettivo era quello di scrivere un pezzo che contribuisse a modificare I'opinione degli americani e poi degli europei sul ruolo avuto dalla forze armate tedesche durante la Seconda guerra mondiale. In quel periodo, infatti, in Europa, soprattutto sotto la pressione dell'Amministrazione statunitense, si inrziava a discutere della necessità di riorganizzare l 'esercito tedesco in funzione anti-sovietica. Atal fine, poteva essere utile sottolineare il ruolo svolto da una parte non irrilevante delle alte gerarchie militari naziste nell'ultimo periodo della guerra per arrivare alla resa. Affinché Dollmann non dubitasse dell'autenticità del nostro disegno era però indispensabile che Giorgio fingesse di vantare uno stretto rapporto con il maggiore Pagnotta, capo del Counter Intelligence Corps a Roma. Dopodiché stuzzicare e solleticare la sua vanità e riuscire così ad ottenere quello scoop sarebbe stato davvero una sfida, oltre che un gesto di vera e propria ribalderia. Giorgio lo incontrò una prima volta a casa sua, ma I'ex Colonnello non concessse subito I'intervista e prese tempo, sicuramente per avere più informazioni su questo corrispondente italiano del “Chicago Tribune”. Dollmann viveva in incognito, con il beneplacito delle autorità svizzere e, rischiare un passo falso avrebbe potuto rappresentare per lui un grosso problema. Così rimandò più volte, sempre con l'intento di guadagnare tempo. Il nostro soggiorno a Lugano si allungò di qualche giorno, ma ormai quell'intervista la volevamo fare a tutti i costi. Ingannavamo I'attesa passeggiando lungo il lago o bevendo qualcosa in osteria.

Ricordo I'ansia con la quale trascorrevamo quelle ore. Temevamo sempre che, da un momento all'altro, qualcuno ci arrestasse. Alla fine, in una serata che trascorsero insieme nell'unico night di Lugano, Giorgio riuscì a farsi raccontare tutto ciò che di “scottante" volevamo sapere dei suoi rapporti con i servizi segreti americani e italiani, di come era "fuggito" dal campo di prigionia di Ancona, del trattamento ricevuto in ltalia, del Counter Intelligence Corps e del maggiore Pagnotta. Confermò tutta la storia che, ovviamente, io conoscevo bene.Non appena Giorgio tornò alla pensione preparammo i bagagli e ripartimmo con il primo treno alla volta di Milano e poi di Roma. L’intervista che avrebbe rivelato al mondo il nascondiglio di Dollmann e il comportamento tenuto nella vicenda dalle autorità svizzere, italiane, e dai servizi segreti americani, uscì in due puntate su “l'Unità”, causando un vero e proprio terremoto che portò addirittura all'espulsione dell'ex ufficiale nazista dalla Svizzera.

 

 

 

 

 

Capitano Anton Galler: il probabile esecutore

 

Le testimonianze (fra le quali quella della madre del sacerdote) affermano che il mattino del 13 Ottobre 1944 quel capitano ordinò a don Fornasini di raggiungerlo a San Martino. Cosa che egli fece in mattinata. Il capitano poi rientrò per pranzo, e nel pomeriggio ritornò a San Martino, da dove rientrò nuovamente alla sera per cena. Alla domanda di una delle donne che servivano il capitano e gli altri militari alloggiati nella canonica, il capitano affermò: “pastore kaput”.

Sulla figura di quel Capitano sono state fatte in passato diverse ipotesi. Io oggi penso che invece potesse essere Anton Galler, e che quell'omicidio fosse stato commissionato dai vertici della 16^ divisione SS in seguito al rapporto del Rag. Agostino Grava al Prefetto Dino Fantozzi, nel quale si indicava don Fornasini come autorevole testimone della strage compiuta a Monte Sole. Un testimone che sarebbe stato impossibile far tacere se non con la morte. Dopo il rapporto del Rag. Grava ci fu la trasmissione su Radio-Londra che dnunciò l'entità della strage a Marzabotto. Il Prefetto Fantozzi convocò una riunione il 10 Ottobre con i comandi tedeschi (ed i servizi segreti tedeschi e italiani). In quella riunione si decisero le azioni per nascondere i fatti. L'11 Ottobre fu data la smentita ufficiale sul resto del Carlino. Il 13 Ottobre fu ucciso don Giovanni Fornsaini con un colpo di pistola al petto.

 

E' noto che molte testimonianze riferivano dell'arrivo di un gruppo di ufficiali che occuparono la canonica di don Fornasini il giorno 8 Ottobre 1944, e che tale delegazione era guidata da un capitano; lo stesso capitano che condusse il sacerdote a San Martino il 13 Ottobre, giorno della sua uccisione. Era un capitano piuttosto basso e tozzo, che abitualmente andava a San Martino, per poi tornare a Sperticano per l'ora dei pasti, e si faceva servire dalle donne che frequentavano la canonica, come la mamma del sacerdote Maria Guccini, sua cognata Corinna Bertacchi, e Maria la domestica. Ebbene, nella documentazione della stessa 16^ divisione SS si trovano le prove che il Capitano Anton Galler ed il suo II° Btg si trasferirono a San Martino proprio il giorno 8 di Ottobre.

Chi conosce la zona sa che tutto questo crinale è molto esposto al cannoneggiamento proveniente da Monzuno, dove si trovava il fronte alleato. Quindi se Galler aveva posto il proprio comando nei pressi di San Martino è da escudere che gli ufficiali passassero la notte sul crinale, ed è molto più ragionevole pensare che il comando del II° Battaglione Galler fosse stato sistemato proprio nella canonica di don Fornasini. Sperticano infatti è molto ben protetta dal Monte Caprara, e quindi quasi impossibile da colpire col cannone, ed al tempo stesso San Martino è facilmente raggiungibile da Sperticano attraverso strade ben protette. Inoltre ci sono tutte le testimonianze di persone di Sperticano che concordano nel riferire che il capitano “basso e tozzo” che aveva preso possesso della canonica di don Fornasini si recava abitualmente a San Martino. Vi si recava al mattino, poi tornava per il pranzo e ritornava a San Martino nel pomeriggio, per rientrare per la cena e per passare la notte. Fra l’altro a Sperticano gli ufficiali potevano godere di una relativa comodità, obbligando le donne presenti in canonica a far loro trovare pasti pronti e vestiti puliti.

Infine, la fotografia del Capitano Galler, che è esposta al Museo di sant'Anna di Stazzema.

Il Prof. Gentile ha trovato una fotografia di Anton Galler che è oggi esposta al museo di Sant’Anna di Stazzema (Fig. 1). Dalla foto Galler appare di corporatura abbastanza minuta, ma potrebbe essere cresciuto di peso in seguito. Per quanto riguarda la statura ho potuto solo fare un confronto con i modelli di disegno che fanno riferimento alla proporzione testa/corpo. Con questo metodo si può verificare che la statura di Galler è abbastanza bassa (Fig. 2). Certamente inferiore ai 170 cm.  Si conferma perciò che le proporzioni del Capitano Anton Galler sono quelle di un'uomo basso e tozzo.

 

 

 Fig.1

Fotografia del Capitano Anton Galler esposta nel Museo di Sant'Anna di Stazzema. La copia qui pubblicata è stata gentilmente fornita dal Dr. Simone Caponera.

 

 Fig. 2

Confronto delle proporzioni del Capitano Galler con gli schemi affinati dal mondo del disegno e della pittura.

  

 

Il Riposizionamento a San Martino del II° Btg del 35° Rgt comandato da Galler pochi giorni prima dell'uccisione di don Fornasini.

Recentemente ho trovato le interessanti informazioni a cui facevo riferimento sul libro dei reduci della 16^ div. SS - DAL CECINA ALLA LINEA GOTICA DA TAUGLIA ALL’UNGHERIA - “Im gleichen Schritt und Tritt" - Dokumentation der 16. SS-Panzergrenadierdivision "Reichsführer-SS". [Hrsg.: Divisionsgeschichtliche Arbeitsgemeinschaft der Truppenkameradschaft der 16. SS-Panzergrenadier-Division "Reichführer-SS"] pubblicato nel 1998 da Schild-Verlag GmbH (Fig. 3). Questo libro è molto ricco di documentazioni e dati relativi agli spostamenti della divisione, ed è stato anche acquisito agli atti del processo di La Spezia. Ne esiste anche una traduzione non ufficiale in italiano, che ho potuto consultare integralmente, ed è grazie a questa che ho potuto capirci qualcosa.
Alla pagina 532 del libro citato  viene riportata la disposizione della 16° Divisione i giorni 6 e 8 Ottobre 1944 (Fig. 4). La disposizione più dettagliata del giorno 8 Ottobre è descritta a pagina 534 (Fig. 5), dove la descrizione prosegue dalla pagina 532 (la pagina 533 contiene solo immagini). Qui di seguito riporto la traduzione di un passaggio saliente della descrizione a pagina 534 che si riferisce al giorno 8 Ottobre:

Il 16" reparto da ricognizione delle SS è ferma con la 1^,2^ ,3^ Compagnia a ovest del FIUME del SETTA e della FERROVIA, con fronte verso est. Il vicino destro della AA 16 è il II° Battaglione del 35° Reggimento Granatieri Corazzati SS sotto il comando del Capitano GALLER che ha messo il suo comando di battaglione presso SAN MARTINO. Il vicino sinistro della AA 16 è il I° batlaglione del 36° Reggimento Granatieri Corazzati SS con comando a VADO. Nel I" Battaglione del 36", il comandante è il Capitano GANTZER. La 5^ Compagnia AA 16 sotto il comando di SAALFRANK controlla un incrocio di strade a sud di VADO. Il comando della compagnia AA 16 è a SPERTIRANO nella VALLE del RENO. Il comando avanzato è a CERPIANO.

 

Da questo si deduce che il giono 8 ottobre le compagnie 1^, 2^, e 3^ del Battaglione Reder (AA 16, Battaglione da ricognizione) erano a Cerpiano, come confermato anche da molte testimonianze di superstiti che erano tenuti prigionieri nello sacantinato del palazzo dietro all’oratorio che fu teatro di una orrenda carneficina.La 5^ compagnia dello stesso Battaglione Reder controllava “un incrocio di strade a Sud di Vado”. Tutto il Battaglione di Reder era quindi posizionato sul versante est fra Cerpiano e Vado.

Il II° Battaglione del 35° Reggimento comandato dal Capitano Anton Galler aveva invece sistemato il proprio comando presso San Martino.

 

Occorre notare che il 6 Ottobre (pag 532 del libro citato- Fig. 4 ) il II° Battaglione di Galler era fra Vado e Quercia, quindi lo spostamento del II° battaglione di Galler a San Martino avvenne certamente fra il 7 e l’8 di Ottobre. L’8 di ottobre è la data in cui molte testimonianze riportano la presa di possesso della canonica di Sperticano da parte di un gruppo del quale faceva parte un Capitano “basso e tracagnotto” che si recava abitualmente a San Martino.

Il "Battaglione Galler" (così veniva chiamato il II° Battaglione del 35° Reggimento della 16^ Divisione SS), era rimasto nelle retrovie, perché era stato molto impegnato nelle attività di contrasto ai partigiani in Toscana, fra Massa e Lucca. A Sant’Anna di Stazzema era stato proprio questo Battaglione ad aver condotto l’operazione che avrebbe fatto terra briciata con un massacro altrettanto feroce. Il Capitano Anton Galler non era meno feroce del Maggiore Reder, e sicuramente era un’uomo di fiducia del Gen. Simon, al quale affidare operazioni “sporche” (l’uccisione di don Fornasini fu certamente un crimine di guerra).

 

Dai documenti e dalle carte militari si capisce che a partire dal giorno 8 Ottobre le compagnie del Battaglione Galler tenevano le posizioni difensive sul crinale da San Martino a Termine (Fig. 6).Nella carta riportata nella figura 6, tratta dallo stesso libro "Im gleichen Schritt und Tritt", sono rappresentate le posizioni assunte prograssivamente delle varie compagnie nei giorni che vanno dal 21 Settembre al 12 Ottobre. Si può notare che dal 2 al 6 Ottobre il II/35 si trova a Monteacuto Vallese, mentre dal 6 al 12 Ottobre il II/35 è segnato su Sperticano. Il simbolo  II/35 si riferisce appunto al II° Battaglione del 35° Reggimento comandato dal Capitano Anton Galler.

Anton Galler, che come Reder aveva fatto esperienza nei campi di concentramento, e che aveva condotto la strage di sant’Anna di Stazzema, era probabilmente una scelta ideale per un lavoro di assassinio su ordinazione come quello che nella mia opinione colpì don Fornasini. Non credo che l'episodio della sera prima, in cui vi fu una discussione ad alta voce fra il capitano ed il sacerdote, possa avere una rilevanza sufficiente a spostare il peso di una serie così precisa di coincidenze.

 

Purtroppo Anton Galler non fu mai perseguito, e quando il processo di La Spezia fu avviato egli era già morto (nel 1993) da tranquillo pensionato in un villaggio turistico in Spagna.

 

 Fig. 3

Copertina del libro "Im gleichen Schritt und Tritt"

 
 Fig. 4

Pagine 534 del libro "Im gleichen Schritt und Tritt"

 
 Fig. 5

Pagina 534 del libro "Im gleichen Schritt und Tritt"

Fig. 6

Pagina 534 del libro "Im gleichen Schritt und Tritt"

 

 Chi era Anton Galler

 

GALLER  Anton, , Capitano SS, (SS-Hauptsturmführer), comandante del II Btg., SS Pz. Gr. 35 – 16. SS Panzergrenadier Division “Reichsführer – SS”;

 

(Da: www.anpiginolombardiversilia.it/s_anna.htm) Nato il 30/11/1915 a Marktl Kreis Lilienfeld (Austria), piccolo centro del Wienerwald, a poca distanza di Vienna e Sankt Pölten, da famiglia di modeste condizioni,  a 16 anni inizia a lavorare presso un fornaio di Amstetten. Subito dopo entra nelle formazioni della destra austriaca filotedesca, poi nell’Hitlerjugend e nelle SS austriache, e per la sua intensa attività politica è costretto a rifugiarsi in Germania nel 1933. Per circa un anno presta servizio presso l’opera di soccorso SS “Dachau”, poi, fino all’aprile 1936, è soldato nel II battaglione Standarte “Deutschland”; ammesso alla scuola ufficiali di Braunschweig, consegue la nomina a sottotenente nella primavera del 1937.  Assegnato all’amministrazione di polizia delle SS, dal 1939 è impegnato nella “ripulitura dei riconquistati territori della Slesia dell’est da elementi e bande criminali, nell’evacuazione di ebrei e polacchi, nell’insediamento dei tedeschi all’estero e nella protezione di pulizia militare di quei territori”. Alla fine del 1943 viene assegnato alla 16ª SS Panzergrenadier division con il grado di capitano.

 

Durante la permanenza in  Italia, comanda il II battaglione del 35 reggimento, effettuando la strage di  Sant’Anna di Stazzema ed altri crimini verso la popolazione. Catturato dagli Alleati alla fine del conflitto, non subisce alcun procedimento penale e muore da tranquillo pensionato in un villaggio turistico in Spagna nel 1993.

 

 

 

 

Don Giovanni Fornasini

 

         

Da sinistra Giovanni, la mamma il babbo entrambi del 1989 ed il fratello Luigi (del 2-6-’12). Porretta Terme 1930 circa.

 

Giovanni Fornasini in una divertente fotografia del 14 settembre 1935

  Maria Guccini e Angelo Anselmo Fornasini, genitori di Giovanni, in una fotografia del 1908   Don Giovanni Fornasini, dimagrito e provato, con ragazzi della prima comunione a Sperticano nel 1943   Don Giovanni Fornasini di fianco a Villa Revedin

 

Chiesa con Bicicletta

Santino commemorativo della prima messa a Pianaccio.

Tutte le fotografie sono di proprietà della famiglia Fornasini.

 

Giovanni Fornasini nasceva il 23 febbraio 1915, in via Teggia 1, a Pianaccio (Lizzano in Belvedere) da Angelo For­nasini e Maria Guccini.

Il padre, nato a Pianaccio il 2 ottobre 1887, morì il 12 novembre 1938; la madre, nata a Pianaccio il 19 luglio 1887, morì il 23 giugno 1951.

Giovanni Fornasini ebbe un fratello nato nel 1912, Luigi Fornasini il quale si sposò con Corinna Bertacchi, avendone la figlia Caterina (1938) e Giovanna Fornasini che Giovanni non potè conoscere.

 

Gli anni dell'infanzia Giovanni li passò all'ombra della parrocchia porrettana, facendo il chierichetto dal parroco Don Minelli.

Frequentò le elementari fino alla sesta, e poi anche le scuole commerciali dell'Alber­gati.

Nell'autunno del 1931, entrò nel Piccolo Seminario di Borgo Capanne, retto da Mons. Capitani.

Dal 1932 questo seminario cessò la sua attività allorché fu inaugurato a Vílla Revedin il nuovo Seminario Arci­vescovile bolognese, costruito dal Card. Nasalli-Rocca. Qui Giovanni Fornasini continuò i suoi studi finchè il 2 febbraio 1934 veniva vestito da prete.

Nell'autunno del 1935 iniziava il suo primo anno di liceo, nei seminario ragionale, situato tra via dei Mille e piazza Umberto I. Nell'estate del 1938 terminava il suo terzo ed ultimo anno li­ceale. Nell'autunno di quell'anno, sempre nel seminario regio­nale, iniziava il suo primo dei quattro anni di teologia. Il 29 marzo 1940 veniva ordinato suddiacono a Bologna, diventando aiutante cappellano del parroco di Sperticano, don Roda.

La domenica 28 giugno 1942, nella chiesa di S. Pietro a Bo­logna, don Giovanni veniva ordinato sacerdote dal card. Nasalli Rocca e terminava il suo ultimo anno di teologia.

 

 

         

Giovanni Fornasini seconda penultima fila in alto 6° da destra in un gruppo del Collegio Albergati, anno scolastico 30-31. 

 

 

Don Giovanni Fornasini nei primi anni quaranta a Porretta con don Vanini e Lollo Predieri.

 

 

Don Giovanni Fornasini in una gita estiva del seminario di Borgo Capanne il 7 agosto 1932. Penultima fila in alto a destra.

  Don Giovanni Fornasini sul Corno alle Scale con un signore non identificato.  

Don Giovanni Fornasini terzo da sinistra in prima fila dopo la celebrazione della prima messa il 29-6-42. Di fianco a lui don Alfredo Minelli (parroco di Porretta), e don Vanini.

  Don Giovanni Fornasini primo a sinistra nella seconda fila in piedi alla fine degli anni 30 nel Seminario Regionale. Il primo in alto a sinistra è don Luciano Gherardi.

 

Tutte le fotografie sono di proprietà della famiglia Fornasini.

 

 

La domenica 12 luglio 1942, don Giovanni andò a "cantar messa" nella parrocchia di San Tommaso a Sperticano. Circa un mese dopo, il 21 agosto moriva il vecchio parroco di Sperticano don Roda. Don Giovan­ni subentrò al suo posto, tenendo con sé anche la vecchia don­na di servizio, la Maria.

Si prodigò durante il periodo della guerra per aiutare e salvare quante più persone poteva, guadagnandosi l’appellativi di Angelo di Marzabotto.

Assassinato il venerdì 13 ottobre 1944, rimase insepolto per 193 giorni allorché, il 24 aprile 1945, la sua salma venne provvisoriamente sepolta dal fratello. Dal 13 ottobre del 1945 le suo spoglie giacciono nella chiesetta di S. Tommaso di Sperticano.

(sintesi tratta dal libro di Ciucci)

 

 

   

Don Giovanni Fornasini accompagna i suoi parrocchiani di Sperticano a San Luca. Maggio 1943. Foto della signora Calzolari Vittorina, che è presente nel gruppo.

  Don Giovanni Fornasini accompagna i suoi parrocchiani di Sperticano a San Luca – in basso in piedi da destra 6° posizione la mamma di don Giovanni, ed in 8° la domestica che era di don Roda, Maria Frassineti con la mamma Geltrude. (foto della famiglia Fornasini)   Don Giovanni Fornasini con un gruppo di sacerdoti. Debbo chiedere a don Zacanti di Tolè per avere informazioni e identificazioni del gruppo, ma è in ospedale ed attendo che venga dimesso. (foto della famiglia Fornasini)

 

 

 

Don Giovanni Fornasini, medaglia d'oro al valore militare, (conferitagli con decreto presidenziale il 19 maggio 1950 e consegnata ufficialmente ai parenti il 2 grugno 1951).

 

 

         
 

 

 

 

 

 

 

 MOTIVAZIONE DELLA MEDAGLIA D'ORO

 

 

"Nella sua parrocchia di Sperticano, dove gli uomini validi tut­ti combattevano sui monti per la libertà della Patria, fu lumi­noso esempio di cristiana carità.

 

Pastore di vecchi, di madri, di spose, di bambini innocenti, più volte fece loro scudo della propria persona contro efferati massacri condotti dalle S.S. Germaniche, molte vite sottraendo all'eccidio e tutti incorag­giando, combattenti e famiglie, ad eroica resistenza.

 

Arrestato e miracolosamente sfuggito a morte, subito riprese arditamente il suo posto di pastore e di soldato, prima tra le rovine e le stragi della sua Sperticano distrutta, poi a S. Martino di Ca­prara dove, pure, si era abbattuta la furia del nemico.  

 

Voce della Fede e della Patria, osava rinfacciare fieramente al tede­sco l'inumana strage di tanti deboli ed innocenti richiamando anche su di se la barbarie dell'invasore e venendo a sua vol­ta abbattuto, lui Pastore, sopra il gregge che, con estremo co­raggio, sempre aveva protetto e guidato con la pietà e con l' esempio".

 

 

S. Martino di Caprara, 13 ottobre 1944

 

 

 

 

 

 

Il Capo della Provincia Dino Fantozzi

 

 

         
la foto tessera di Dino Fantozzi è conservata nell'archivio del Giornale d'Italia, presso la Biblioteca comunale G. C. Croce di San Giovanni in Persiceto.    Notizia dell'arresto di Fantozzi sul Giornale dell'Emilia (testata che aveva sostituito il Resto del Carlino subito dopo la liberazione)    Notizia del trasferimento di Fantozzi a Bologna, dopo l'arresto avvenuto poco prima a Milano    Notizia della condanna di Fantozzi a 10 anni di carcere.

Nota: Le copie del Giornale dell'Emilia si possono consultare anche presso l'Istituto Parri a Bologna. Cliccando sull'immagine si apre una finestra con l'immagine parzialmente ingrandita. Nell'angolo in alto a destra della finestra c'è un pulsante che consente di ingrandire ulteriormente l'immagine. L'ulteriore ingrandimento è utile specialmente per gli articoli, in modo da rendere il testo leggibile.

 

Dino Fantozzi, capo della Provincia di Bologna nel 1944, ricevette un rapporto sulla strage dal Segretario Comunale di Marzabotto quando la strage era ancora in corso. Però non diede credito al racconto. Solo quando Radio Londra diede la notizia qualche giorno dopo egli ricevette l'ordine da Brescia di indagare su quelle voci ed il Fantozzi fece prelevare il Segretario Comunale dai Repubblichini per interrogarlo.

Nella lettera del 10 Ottobre a Mussolini, lettera conservata presso il Centro di Documentazione di Marzabotto, di cui l'Istituto Parri di Bologna ha gentilmente concesso la pubblicazione sui questo sito, il Fantozzi, che aveva appena concluso una riunione con i tedeschi ed i gerarchi italiani nella quale si era deciso come smentire la verità dei fatti, promette una severa azione disciplinare contro il Sergretario Comunale che ha osato fare dichiarazioni "esagerate"

 

 

Lettera di Dino Fantozzi al Duce, datata 10 Ottobre 1944 - cliccare sulla lettera per vedere il pdf

 

 

Chi era Dino Fantozzi

Dino Fantozzi, prefetto a Bologna dal Gennaio 1944 all’Aprile 1945 fu coinvolto nell’occultamento del massacro di Monte Sole. La sua figura appare complessivamente quella di un fascista convinto, e ambizioso. Da quanto si sa non era un sanguinario. Nella gestione del caso Marzabotto ne esce però come una figura priva di moralità, e capace di accettare qualsiasi nefandezza pur di salvare la faccia del fascismo.

Ma cerchiamo di vedere più da vicino chi fosse Dino Fantozzi.

Dalla scheda "Personaggi" dell'Archivio redazionale de "Il Giornale d'Italia", conservata alla biblioteca G. C. Croce di San Giovanni in Persiceto. Dalle date si può dedurre che la scheda sia stata redatta fra Aprile 1940 e Gennaio 1941, quando Fantozzi era segretario federale a Reggio Emilia.

 

SQUADRISTA FANTOZZI Comm. DINO fu Franco - nato a Pescia (prov. di Pistoia) il 20/4/1899 - abitante a Firenze, Via Leonardo Fibonacci 11

 

POSIZIONE POLITICA

Fascista dal 10 Novembre 1920. Comandante della Squadra d'Azione "DANTE ROSSI" del Fascio Fiorentino di Combattimento (la 3^ costituitasi a Firenze a soli pochi gior­ni di distanza dalla fondazione delle Squadre "Disperata" e "Giglio Rosso"). Squadrista - Sciarpa Littorio - Ha partecipato a quasi tutte le azioni squadristiche della Toscana nel periodo ante-Marcia. Ha parte­cipato materialmente alla Marcia su Roma al comando della Squa­dra "DANTE ROSSI" di Firenze.

 

Ha subito processi e sofferto nove mesi di carcere per la Causa Fascista. Dal Dicembre 1920 al febbraio 1921 fu Vice Segretario del Fascio di Pescia. Dal 1923 al novembre 1924 fu Vice Segretario del Fascio Firentino e Membro del Direttorio federale. Dal marzo 1936 al Maggio 1939 - Fiduciario del Gruppo rionale Fascista "DANTE ROSSI" di Firenze -

Dal maggio al novembre 1939 Vice Segretario del Fascio Fiorentino di Com­battimento. Fu membro della Commissione per l'esame delle doman­de per il rilascio del Brevetto della Marcia su Roma. Dalla data della costituzione fa parte dell'Associazione degli Arditi di Guerra ed è membro del Direttorio. Negli anni 1924-1925 fu Presidente della Commissione federale di discipli­na di Firenze. Quale Fiduciario del Gruppo Rionale Fascista "DANTE ROSSI" di Firenze ideò e portò a compimento la costruzione della Casa Littoria del Gruppo stesso.

Effettuò azioni di polizia rendendo segnalati servizi al Regime ed ottenne nel 1925 l'ELOGIO DEL DUCE, del Direttore Generale della P.S. e la citazione all'ordine del giorno del Comando generale del­la M.V. S. N.

Nominato Commendatore nell'ordine della Corona d'Italia per meriti fasci­sti. Fu Commissario straordinario del Fascio di Empoli (1939). Dal 19 Dicembre 1939 al 4 aprile 1940 Commissario straordinario della. Federazione dei Fasci di Combattimento di Catania.  Dal 6 Aprile 1940/XVIII Segretario della Federazione dei Fasci di Combat­timento,di Reggio Emilia.

 

POSIZIONE MILITARE Esercito :

Ex-combattente della Grande Guerra quale Tenente degli Arditi - Attualmente Capitano di Fanteria - Croce di guerra - Campagna di guerra 1917-18 (e 1919 Albania) -

Milizia :

Seniore della M.V.S.N. dalla Fondazione (1/2/1923) - Attualmente 1° Se­niore - Croce di anzianità della Milizia.

POSIZIONE CIVILE

Ammogliato con due figli –

N.d.r. -Il linguaggio in questa scheda di Dino Fantozzi è del Giornale d'Italia, diretto da Vito Mussolini, fratello del più famoso Benito.

 

 

Approfondimenti

 

Un approfondimento è disponibile a questo link

http://www.istoreco.re.it/public/isto/rs62-63OCRlow1562011152647.pdf

 

Dopo la guerra Fantozzi fuggì a Milano, ma lì fu arrestato. Processato per le sue responsabilità fu condannato a 10 anni di carcere. Non sono riuscito a trovare altre informazioni circa le vicissitudini dell'ex Prefetto dopo la liberazione. Immagino che la pena sia stata condonata, e che egli sia rientrato in una vita privata abbastanza normale. Tutto sommato sono molti gli episodi nei quali Dino Fantozzi si dimostrò abbastanza moderato e "umano".

Ad esempio in Luciano Bergonzini "La Resistenza a Bologna" troviamo il racconto di un episodio legato all'arresto ed alla fucilazione di un gruppo di componenti del Comitato di Liberazione, che erano anche esponenti di spicco della cultura bolognese.

 

« Rapporto sull'arresto dei componenti del Comitato di liberazione nazionale di Bologna e provincia ed esponenti regionali », redatto dal­l'Ufficio politico della GNR in data 7 settembre 1944, alla comunicazione dell'avvenuta fucilazione recante la data 23 settembre 1944.

 

Da Bergonzini:

 

Una nostra accurata indagine ci consente ora di spiegare perchè l'ordine di fucilazione, datato 19 Settembre, non fu immediatamente eseguito e di ricostruire gli avvenimenti che solo sommariamente risultano negli atti dei processi De Vita e Tartarotti che seguirono alla liberazione.

I fatti sono i seguenti. Avuta notizia dell'intenzione da parte fascista di dare immediata esecuzione alla sentenza capitale, il capo della Provincia, Dino Fantozzi, che sugli atti esecutivi aveva poteri formali, dispose per la sospensione e partì, in auto, per Maderno, col proposito di chiedere ed ottenere da Musso­lini almeno l'ordine di sospensione dell'esecuzione. Partì la sera del 20, accompagnato dal maresciallo Tosi e da un autista, e nell'avviarsi fece intendere ai suoi stretti collaboratori di essere consapevole che quella decisione poteva provocare l'irritazione sia di Rocchi sia di Franz Pagliani dai quali si attendeva ogni contromisura volta ad impedirgli di raggiungere Maderno. La preoccupa­zione del capo della Provincia non era infondata: infatti, a poca distanza da Mirandola, l'auto di Fantozzi si trovò improvvisamente di fronte ad un posto di blocco stradale predisposto da un gruppo di fascisti i quali, in due macchine, si erano appostati al fianco dei «cavalli di frisia». Fantozzi si rese immediata­mente conto che non si trattava di una generica misura di controllo o di pre­cauzione, ma che quel « blocco » era stato predisposto per impedirgli di pro­seguire e allora invece -di fermarsi e mostrare i documenti, ordinò di innestare la « terza », di forzare il « blocco » e di andare oltre alla velocità massima. Senonchè i fascisti fecero in tempo a balzare sulla carreggiata e ad aprire il fuoco coi mitra e una raffica ben centrata colpì alla testa il maresciallo Tosi, che era nella parte posteriore, e ferì lievemente anche l'autista. L'auto andò avanti, raggiunse l'ospedale di Mirandola, dove Fantozzi depositò il mare­sciallo in fin di vita e provvide sommariamente per la ferita dell'autista. Poi continuò fino a raggiungere Maderno. È accertato che Mussolini lo ricevette ed accolse la proposta di sospensione dell'esecuzione della sentenza, ma quando Fantozzi, che era immediatamente ripartito, rientrò a Bologna, la fucilazione era appena stata eseguita.

 

In altre occasioni Fantozzi si dimostrò inflessibile, come ad esempio nei confronti dei lavoratori della Calzoni che protestavano per difendere i propri diritti.

 

Ancora da Bergonzini

Tra i lavoratori vi è sempre stato un forte spirito antifascista e anche prima dell'8 settembre 1943 si attuarono, anche in forma organizzata, iniziative di lotta sindacale e politica. [….]  Tali gruppi diedero un contributo determinante nel trasformare il mal­contento contro la guerra, l'occupazione tedesca, le prepotenze nazi-fasciste e le dure condizioni di lavoro e di vita, in movimento di lotta organizzato con ri­vendicazioni sindacali in appoggio al movimento esterno, creando così le basi per la completa adesione degli operai allo sciopero nazionale del primo marzo 1944 proclamato dal « Comitato segreto d'agitazione » del nord avanzando le ri­vendicazioni più sentite dai lavoratori e l'obiettivo di creare difficoltà politiche a fascisti e tedeschi.

Nel corso dello sciopero una delegazione si recò in direzione ottenendo alcuni impegni. Lo sciopero si mantenne compatto anche al sopraggiungere di forze militari capeggiate da un maggiore tedesco, comandante la « piazza » di Bologna. Questi, dopo aver egli stesso sentito la commissione operaia; parlò a tutte le maestranze assumendo impegni per alcune rivendicazioni, minacciando però anche misure di rappresaglia qualora fosse risultato che il movimento aveva carattere politico. Furono assegnati ad operai e impiegati: copertoni per bici­cletta, sapone, supplemento pane per lavori pesanti (dato a tutti); cambio di gestione della mensa, indumenti da lavoro ed altre cose.

Vi fu però anche l'intervento del prefetto repubblichino Fantozzi e del caporione fascista Remondini i quali, non riuscendo ad individuare direttamente gli organizzatori dello sciopero, giunsero alla compilazione di una lista di 50 lavoratori da inviare per rappresaglia in Germania. I collegamenti dell'organiz­zazione ebbero peso determinante per evitare la partenza di quasi tutti i la­voratori iscritti nelle liste. Parecchi di loro andarono a rafforzare il movimento partigiano. Tra di essi alcuni tra i più qualificati dirigenti del movimento. La riuscita dello sciopero aveva così creato nuove possibilità di contatti tra i lavoratori.”

Come si vede Fantozzi non era un sanguinario, ma al tempo stesso decideva l’invio in Germania, come forma di punizione, per Italiani che evidentemente non condividevano il regime fascista.

 

Ho cercato di rintracciare la famiglia di Dino Fantozzi, anche attraverso l'anagrafe del Comune di Bologna, ma non sono riuscito.  Avrei voluto chiedere qualche informazione sulla sua storia personale dopo la scarcerazione.

 

 

 

 

 

Rag. Agostino Grava

Agostino Grava era nato a Revine Lago, in provincia di Tereviso, il 25 Settembre 1885 da Antonio e Piccin Maria Rosa. Nella prima guerra mondiale era stato maggiore negli alpini. A Venezia aveva sposato Maria Bagilotto, con la quale ebbe una figlia nata a Milano il 20 Ottobre 1921. Quando si trasferì a Grizzana prima del 1940 era già vedovo. Era stato segretario comunale a Grizzana Morandi fino ad Ottobre del 1940, poi fino a Settembre del 1946 fu segretario comunale di Marzabotto. Si trasferi poi a Minerbio dove continuò la sua professione di segretario comunale. La figlia Gisella aveva sposato in seconde nozze il medico condotto di Granarolo. Ad Aprile del 1947 il rag. Grava andò in pensione e si trasferì a Bologna. E’ deceduto a Bologna il 24 Ottobre 1954.

Il fratello del secondo marito di Gisella Grava, che ha concesso la pubblicazione della fotografia del Rag. Grava, lo ricorda ancora come uomo preciso e diligente, dal comportamento sempre corretto e gentile.

 

 ESPOSTO AL MINISTRO DELL'INTERNO

 

Il seguente Esposto del Rag. Agostino Grava fu inviato al Ministro dell’Interno dopo la liberazione. Allegato agli atti del processo Reder che si tenne a Bologna nel 1951. Il Capitano Carlo Galli che firma la copia conforme era stato incaricato dagli inquirenti di raccogliere le prove per il processo.

Una copia di questo documento, disponibile per consultazione presso il Centro di Documentazione di Marzabotto, è qui riprodotto grazie alla autorizzazione del Tribunale Militare di Roma.

 

COPIA DEL DOCUMENTO (PDF)

 

 

TRASCRIZIONE DEL DOCUMENTO

 

45 [ndr: affogliazione]

Allegato F [ndr: allegato F fa parte di una serie di allegati prodotti dal Capitano Galli]

All’On. Ministro degli Interni

Roma

Oggetto: Esposto del Rag. GRAVA Agostino fu Antonio- Segretario Comunale di Marzabotto

Omissis [ndr: gli Omissis sono del tribunale che considerò il contenuto di alcune parti dell’Esposto di Grava di carattere strettamente personale]

Rimasi circa quattro anni e mezzo a Marzabotto, fino al Novembre 1944; triste epoca perché la guerra raggiunse anche quel comune e tutto sconvolse e tutto distrusse, uomini, case, abitazioni, tutto e tutti travolse come in una tempesta.

Furono giorni tristi, penosi, giorni di terrore e di sangue. Il fronte si era fermato su quelle colline, e a soli duecento metri in linea d’aria dal capoluogo: gli uomini furono rastrellati, deportati, parte ai lavori forzati al fronte, parte in Germania, i deboli e gli ammalati, uccisi. Lo scrivente è venuto a trovarsi totalmente isolato, senza comunicazioni con la Provincia, bombardate le vie, con la popolazione in preda a terrore. Nelle frazioni di montagna molti nazifascisti, in un rastrellamento, ammazzarono oltre 2000 cittadini di Marzabotto senza contare i morti per rappresaglia e bombardamenti [ndr: quando Grava scrisse questo documento il conteggio era basato sulla differenza fra abitanti prima e dopo la guerra; il numero preciso dei caduti nei giorni della strage fu definito ufficialmente solo 50 anni dopo l’eccidio, nel Settembre 1994].

E’ stata una strage orrenda…. Tutto fu incendiato e distrutto. Anche il messo comunale e un cantoniere vennero presi e fucilati.

Io fui accusato di partigiano e organizzatore di partigiani, e di notte vennero a catturarmi. Sfondarono le porte del comune, dove avevo l’abitazione e armata mano, cinque tedeschi della Feldgendarmeria, alle ore 1 e mezza di notte irruppero nella mia stanza, mi fecero alzare, e mi portarono a Pontecchio per essere fucilato [ndr: non mi è chiara la data in cui avvenne questo episodio, ma dal racconto si deduce che accadde prima del 30 Settembre]. Le accuse erano gravissime –partigiano- organizzatore di partigiani – un sacerdote miracolosamente mi salvò: don Giovanni Fornasini Parroco di Sperticano, che poi rimase ucciso dai tedeschi a San Martino di Marzabotto dove si era nascosto per dare sepoltura ai 2000 morti uccisi nella strage del 29 e 30 Settembre 1944.

Al 14 di Novembre, verso le sedici tutta la popolazione superstite dovette evacuare, di notte, sotto l’acqua, abbandonare tutto, casa, masserizie, oggetti personali, viveri, e dovette raggiungere i paesi a nord di Bologna. Oltre 30 km, scalzi, infangati, trasfigurati …. Donne, vecchi, bambini, a piedi …

Omissis

A Bologna, raccontai al Capo della Provincia Fantozzi l’infame strage di Marzabotto, ma non venni creduto.

2

46 [ndr: affogliazione]

Per i morti parlò Radio Londra, e allora si dettero affannosamente ad appurare la verità.

Il Capo della Provincia Fantozzi ebbe l’ordine da Brescia di appurare quanto vi era di vero nella voce di Radio-Londra: si ricordò di quanto avevo narrato io, e mi mandò a cercare a mezzo di due repubblicani. Non aveva creduto alle mie lacrime, al mio pianto, perché avevo pianto narrando con orribili particolari, stragi della popolazione di cinque frazioni di Marzabotto, e mi mandò a cercare di notte con i repubblicani armati di mitra.

Alla sua presenza mi impose di mettere per iscritto quanto avevo a lui narrato pochi giorni prima, perché, aggiungeva, a seguito a comunicazione di Radio-Londra il Duce voleva sapere come stavano realmente le cose.

Promisi che il giorno dopo avrei steso il mio rapporto e sarei ritornato a consegnarglielo personalmente.

Il giorno dopo mi presentai e consegnai il rapporto al Vice Prefetto De Vita, il quale non volle credere, tanto erano gravi le deposizioni. [ndr: il rapporto di Grava al Prefetto Fantozzi, che è riprodotto in questo sito da una copia avuta da Frabboni, è anch’esso allegato agli atti del processo Reder, ed è datato 10 Ottobre 1944]

Il Comando Supremo Tedesco mandò a Bologna un colonnello per fare una rigorosa inchiesta. [ndr: il Prefetto Fantozzi, nella memoria scritta nel 1946 per il Capitano Galli, affermò che l’inchiesta era stata affidata al Generale Werchien, della cui esistenza però non sono mai stati trovate conferme].

Ritengo che quel colonnello non sia arrivato a Marzabotto. So che ebbe la faccia tosta di negare tutto e riferire ai comandi che quel rapporto era mia calunnia delle più infami verso le armate germaniche.

Il “Resto del Carlino” facendo eco alle proteste germaniche, smentiva, in un trafiletto, le voci di presunte stragi che le SS germaniche, avrebbero fatto in quel di Marzabotto.

Il Capo della Provincia Fantozzi venne richiamato a Brescia severamente redarguito dal Duce, perché aveva prestato facile orecchio a denigrazioni, ed ebbe ordine di ritornare ad arrestare lo scrivente, quale vile calunniatore.

Innanzi a tanta infamia scattai, alla presenza dello stesso Fantozzi, e gridai che bisognava chiudere gli occhi alla luce del sole per non vedere per le vie di Bologna i superstiti della strage di Marzabotto con una striscia di stellette bianche al petto, ognuna delle quali diceva il numero dei morti che ogni singola famiglia aveva avuto. Che all’Ospedale di Via Barberia n. 25, diretto dal Maggiore Giordano, parecchi civili, scampati a quella strage, erano stati colà ricoverati, chi senza una gamba, chi senza un braccio, chi senza un occhio. Che all’Ospedale di S. Luigi, una bambina di nome Sabbioni Lucia, era rimasta sola, ferita, sotto al cumulo dei morti del cimitero di Casaglia, dove ne vennero uccisi ben 84, solo donne e bambini; che lo chiedessero al parroco di Pioppe di Salvaro, che direbbe della località “Creda Scuole” dove ne furono uccisi 66, al sig. Gaspari Gaetano, che abita al Collegio di Spagna, che nei suoi due fondi ebbe 33 morti. [ndr: Gaspari era stato Podestà di Marzabotto, ed era proprietario di Colulle di Sotto e Colulle di Sopra]

Allora parve convinto, e mi incaricò di condurgli alcuni superstiti, per fare delle regolari deposizioni.

Ho assicurato, e dopo alcuni giorni potei convincere cinque ricoverati all’Ospedale di Via Barberia n. 25 di venire in Prefettura a deporre sulla strage di Marzabotto.

47 [ndr: affogliazione]

3

Tanto il Capo di gabinetto del Prefetto Melani quanto la Signorina dattilografa, inorridivano man mano che le deposizioni venivano fatte.

Le copie di dette deposizioni furono inviate al Duce, una delle quali venne poi trovata nella sua borsa di cuoio dopo la sua morte e pubblicata sul giornale “L’Unità” di Milano, che si chiedeva dove quelle infamie erano state commesse, se in Tripolitania o in Albania.

Non erano state commesse in Tripolitania o in Albania, ma a Marzabotto, e più precisamente nella frazione di Sperticano – fondo “Colulla di Sotto”.

Omissis

F.to Rag. Agostino Grava

F.C.C.

Il Capitano Carlo Galli

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