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Frammento dello spettacolo teatrale "Jammin' in New York" del grande George Carlin al Madison Square Garden di New York. Spettacolo che fu mandato in diretta dalla Paramount e ritrasmesso dalla HBO in Aprile del 1992.
http://www.youtube.com/watch?v=eScDfYzMEEw&;feature=player_embedded
Salviamo il pianeta
Frammento dello spettacolo teatrale "Jammin' in New York" del grande George Carlin al Madison Square Garden di New York. Spettacolo che fu mandato in diretta dalla Paramount e ritrasmesso dalla HBO in Aprile del 1992.
Traduzione in italiano di Stefano Muratori
Ne avete di gente così intorno a voi? Il paese ne è pieno! Persone che girano intorno tutto il giorno, ogni minuto del giorno preoccupati per ogni cosa!
Preoccupati per l'aria, preoccupati per l'acqua, preoccupati per il suolo; preoccupati per insetticidi, pesticidi, additivi alimentari, agenti cancerogeni; preoccupati per il gas radon, preoccupati per l'amianto.
Preoccupati di salvare le specie in pericolo……
Ora vi parlo delle specie in via di estinzione, d’accordo?
Salvare le specie in pericolo è solo un altro tentativo arrogante da parte dell'uomo di controllare la natura! E’ ingerenza arrogante!
E’ proprio quello che ci ha messo nei guai in primo luogo!
Non c’è proprio nessuno che capisce questo?
Interferire con la Natura!
Oltre il 90 per cento…..... ben oltre il 90 per cento di tutte le specie che abbiano MAI VISSUTO su questo pianeta se ne sono andate!
Whissshht! ….. Si sono estinti. Non li abbiamo ucciso tutti noi!Sono solo ... sparite! Questo è ciò che la natura fa!
In questi giorni scompaiono al ritmo di 25 specie al giorno, e voglio dire ….. a prescindere dal nostro comportamento. Indipendentemente da come agiamo su questo pianeta, 25 specie che esistono qui oggi, se ne saranno andate domani!
Lasciateli andare ... con grazia!
Lasciate stare la natura! Non abbiamo già fatto abbastanza? Siamo così pieni di noi stessi. Così pieni di noi stessi. Adesso chiunque sta andando a salvare qualcosa:
"salvate gli alberi ……
salvate le api …..
salvate le balene….
salvate quelle lumache…." E la più grande arroganza di tutte è: salvate il pianeta!
Cosa?
Questo ca**o di persone mi stanno prendendo in giro?
Salvare il pianeta? … Ma se non sappiamo ancora prenderci cura di noi stessi!
Non abbiamo nemmeno imparato a prenderci cura l’uno dell’altro, e vorremmo andare a salvare il ca**o di pianeta? Mi sto stancando di questa m____. Stanco di questa m____.
E sono stanco di quel ca**o di “giornata del pianeta”, sono stanco di questi ambientalisti ipocriti, questi bianchi, liberali borghesi che pensano che l'unica cosa sbagliata in questo paese sia che non ci sono abbastanza piste ciclabili.
Persone che cercano di rendere il mondo più sicuro per le loro Volvo.
D’altra parte, agli ambientalisti non frega un ca**o del pianeta. Essi non si preoccupano del pianeta. Non lo fanno nella sua essenza fondamentale.
Sapete in che cosa sono interessati? Un posto pulito dove vivere. Il loro habitat.
Sono preoccupati che un giorno, in futuro, potrebbero subire personalmente degli inconvenienti. L’interesse personale ottuso e non illuminato non mi piace.
D’altra parte il pianeta non ha nulla che non va. Nulla che non va con il pianeta. Il pianeta è a posto. E’ la gente che è fottuta. C’è differenza!
C’è differenza: il pianeta è a posto, rispetto alle persone il pianeta sta andando benissimo. E’ qui da quattro miliardi e mezzo di anni, avete mai pensato all’aritmetica? Il pianeta è stato qui per quattro miliardi e mezzo di anni, noi invece da quanto ci siamo: centomila? Forse duecentomila? E siamo solo stati impegnati nell'industria pesante per poco più di duecento anni. Duecento anni contro quattro miliardi e mezzo. E noi abbiamo la presunzione di pensare che in qualche modo noi siamo una minaccia? O che in qualche modo faremo mettere a repentaglio questa bella pallina verde-azzurro che è solo fluttuante intorno al sole? Il pianeta ha passato molto di peggio. Ha passato tutti i generi di cose peggiori di noi. E’ passato attraverso i terremoti, i vulcani, la tettonica a zolle, la deriva dei continenti, eruzioni solari, macchie solari, tempeste magnetiche, l'inversione dei poli magnetici ... centinaia di migliaia di anni di bombardamento da comete ed asteroidi e meteoriti, allagamenti globali, maremoti, incendi in tutto il mondo, erosione, i raggi cosmici, ricorrenti periodi di glaciazione ... E noi pensiamo che alcuni sacchetti di plastica e alcune lattine di alluminio riusciranno a fare la differenza?
Il pianeta non sta andando da nessuna parte. Noi lo facciamo!
Stiamo andando via! Preparate la vostra roba gente! Stiamo andando via!
E non lasceremo nemmeno granchè di tracce. Grazie a Dio per questo!
Forse un po’ di polistirolo. Forse. Un po’ di polistirolo. Il pianeta sarà qui, e noi saremo ormai andati da tempo.
Solo un’altra mutazione non riuscita. Solo un altro errore biologico senza sbocchi. Un cul-de-sac evolutivo. Il pianeta ci scrollerà via come un brutto caso di pulci.
Una fastidio di superficie. Lo volete sapere come sta andando il pianeta? Chiedetelo a quelle persone di Pompei, che la cenere vulcanica ha congelate nella posizione. Chiedetelo a loro come sta andando il pianeta. Volete sapere se il pianeta sta bene? Chiedete a quelle persone a Città del Messico o dell’Armenia o cento altri luoghi sepolti sotto migliaia di tonnellate di macerie dal terremoto…. Chiedetegli se si sentono di essere una minaccia per il pianeta, questa settimana.
Oppure, cosa ne pensate di quelle persone di Kilauea, alle Hawaii, che hanno costruito le loro case vicino a un vulcano attivo, e poi si domandano perché hanno la lava in salotto! Il pianeta sarà qui per molto, molto, MOLTO tempo dopo che noi ce ne saremo andati, e saprà guarire se stesso, purificherà se stesso, perche questo è ciò che normalmente fa. Si tratta di un sistema di auto-correzione. L'aria e l'acqua si riprenderanno, la terra sarà rinnovata e, se è vero che la plastica non è biodegradabile, beh, il pianeta saprà semplicemente integrare la plastica in un nuovo paradigma: la terra più la plastica.
La terra non condivide i nostri pregiudizi verso la plastica! La plastica è venuto fuori dalla terra. La terra probabilmente vede nella plastica solo un’altro dei suoi figli…. Potrebbe proprio essere l'unica ragione per la quale la terra ci ha consentito di essere generati da essa in primo luogo. Lei voleva la plastica per se stessa. Non sapeva come farla. Le servivamo noi!
Potrebbe essere la risposta alla nostra domanda filosofica secolare: "Perché siamo qui?" …… Plastica ... stronzi! Quindi, la plastica ora c’è, il nostro lavoro è finito, ora possiamo essere eliminati!
E penso che ciò sia già cominciato, non lo pensate anche voi?
Per essere onesto, penso che il pianeta ci veda effettivamente come una lieve minaccia. Qualcosa di cui occuparsi.
E sono certo che il pianeta si difenderà, nella maniera di un grande organismo, come potrebbe fare un alveare o una colonia di formiche, e saprà padroneggiare una difesa.
Sono sicuro che il pianeta escogiterà qualcosa. Cosa fareste voi se foste il pianeta, cercando di difendervi da questa specie fastidiosa e molesta? Vediamo: ... virus!
I virus potrebbero andare bene. Essi sembrano vulnerabili ai virus. E, uh ... i virus sono complicati, sempre mutevoli, e capaci di formare nuovi ceppi ogni volta che un vaccino è stato sviluppato…. Forse, questo primo virus potrebbe essere un tipo che compromette il sistema immunitario di queste creature. Forse un virus di immunodeficienza umana, rendendoli vulnerabili ad ogni sorta di altre malattie e infezioni che potrebbero venire avanti. E forse potrebbe essere diffuso sessualmente, così da renderli un pò riluttanti ad impegnarsi in atti di riproduzione. Beh, questa è una nota poetica, ma è un inizio. E posso sognare, non è vero? Non posso preoccuparmi delle piccole cose: le api, gli alberi, le balene, lumache. Penso che siamo parte di una saggezza più grande di quanto noi potremo mai capire. Un ordine superiore. Chiamatelo come volete. Sapete come lo chiamo io? Il Grande Elettrone.
Il Grande Elettrone ... Whoooa. Whoooa. Whoooa.
Egli non punisce, non ricompensa, e non dà nemmeno giudizi.
Esiste solamente, e così siamo anche noi.
Per un pochino.
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La riflessione di Wolf, sviluppata attraverso il racconto di 10 anni di storia marzabottese, tocca alcuni temi che sono alla base della crisi di una sinistra che vorrebbe proporsi come alternativa ma che non riesce ad essere convincente.
DIMENTICARE MARZABOTTO? Lo scempio ambientale nei luoghi della memoria
di Wolf Bukowsky
2011 - Epika Edizioni – Castello di Serravalle - 120 pagine, formato 21x14
Prezzo di copertina 13,50. Può essere acquistato presso Epika Edizioni 0516704910
Dalla copertina:
“Un paese di poche migliaia di abitanti nella morsa di infrastrutture e impianti nocivi, realizzati o progettati: la variante di valico autostradale, una turbogas, un inceneritore, una condotta idraulica a servizio di mezzo milione di persone. E poi cemento residenziale, commerciale, una cava più grande dell'abitato del capoluogo e, sotto la terra che un tempo dava nutrimento, la ricerca di idrocarburi.
Un racconto di brutta politica e sfruttamento del territorio nell'Emilia del buongoverno; una vicenda che sarebbe solo deprimente se non fosse stata riscattata dai cittadini; una storia incredibile ma così comune nell'Italia del terzo millennio da poter essere ignorata o dimenticata in fretta. Se non avesse avuto luogo a Marzabotto, dove tutto è memoria.”
Alcune mie considerazioni personali sul libro di Wolf.
Mi piacerebbe che questo libro fosse letto senza alcun pregiudizio, specialmente da tutti gli amici del “Partito” (che Wolf definisce come quello Comunista, poi Cosa, poi PDS, poi DS, poi PD), ed anche dagli amici che si occupano della politica locale in genere.
La riflessione di Wolf, sviluppata attraverso il racconto di 10 anni di storia marzabottese, tocca alcuni temi che sono alla base della crisi di una sinistra che vorrebbe proporsi come alternativa ma che non riesce ad essere convincente.
Fra i temi di carattere globale che fanno da sfondo alle cronache locali c’è quello della crescita, o della idea che assecondare lo sviluppo e la crescita in modo automatico sia di per se ancora un principio di buona amministrazione; quello della logica del libero mercato e della competizione basata sulla economia, oggi globalizzata, che la sinistra sembra avere accettato come dato immutabile della realtà; quello della fiducia, che alla fine favorisce le idee (o decisioni) calate dall’alto.
La cronaca puntuale e documentata degli avvenimenti politici locali è anche un appassionante racconto che restituisce una visione ravvicinata di una comunità che è molto cambiata, e non necessariamente in peggio, e che alla fine può aiutare tutti a ricostruire un percorso in modo oggettivo, e magari anche a trarne spunto di riflessione.
S.M.
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Ponza. Un laboratorio di attività geologiche iniziate 200 milioni di anni fa (Giurassico) con eruzioni sottomarine che fecero emergere una grande piattaforma. Tale attività durò fino a 1,2 milioni di anni fa (Quaternario). Da allora iniziò la fase di erosione e di lenta decomposizione sotto l’azione delle glaciazioni, dei terremoti, del mare, dei venti, e delle piogge. E’ questa l’attività geologica che lì dà ancora spettacolo e che si manifesta con tutta la sua forza.
PONZA - UN'ISOLA E UN PO' DI STORIA
Note di viaggio - Agosto 2010
Avevamo pensato di andare due settimane in Sardegna a Luglio, come l’anno scorso, ma poi qualcosa ha modificato i nostri piani. I nostri amici abituali che spingono sempre per la Sardegna sarebbero andati da soli questa volta, e noi potevamo decidere in libertà. Alla fine poi toccava a me fare le proposte, ed a Silvana e Roberto avvallarle o meno. Francesca aveva altri piani.
Così quasi a fine Luglio non avevamo ancora preso una decisione. In tempi normali sarebbe stato un grosso problema trovare posto dal 30 Luglio al 14 Agosto, ma ora, con la penuria di domanda, sapevo che non avrei avuto difficoltà. Si trattava solo di decidere dove andare.
Sardegna, Puglia, Campagna, Calabria, Sicilia, Elba. La Sicilia era in ottima posizione, ma alla fine poi abbiamo deciso per Ponza, di cui sapevamo appena il nome, ma non avremmo saputo localizzarla sulla carta geografica, ed è difficile ricostruire il perchè della scelta.
Ponza
Un laboratorio di attività geologiche iniziate 200 milioni di anni fa (Giurassico) con eruzioni sottomarine che fecero emergere una grande piattaforma. Tale attività durò fino a 1,2 milioni di anni fa (Quaternario). Da allora iniziò la fase di erosione e di lenta decomposizione sotto l’azione delle glaciazioni, dei terremoti, del mare, dei venti, e delle piogge. E’ questa l’attività geologica che lì dà ancora spettacolo e che si manifesta con tutta la sua forza. E’ uno spettacolo fatto di rocce friabili e variegate, venature di colate laviche e depositi di varia natura che si intersecano, ma fatto anche di profondi depositi di sabbia composta da granuli di ossidiana, perlite, quarzo, spostata dai venti fra 80.000 e 50.000 anni fa.
Le coste sono costituite da falesie di varia natura: ripidissime pareti alte dai 50 ai 100 metri, e rocce disomogenee costituite di materiali vari, male amalgamati, con inserti colorati di materiali diversi e disuniformi in pericolo di crollo. Le più spettacolari sono le pareti calcaree bianche con spruzzi di tufo marrone che formano piccoli terrazzi scavati dal vento. Altre parti scure ed uniformi separate da Dicchi e venature. E’ un continuo alternarsi di grotte, faraglioni, scogli ed isolette, archi naturali e piscine, il tutto creato dall’erosione delle coperture tufacee sui sottostanti tortuosi percorsi di rocce laviche più dure. I colori vanno dal bianco al marrone al nero, apparentemente senza un disegno riconducibile a qualche logica. Il bianco sono rocce calcare, il marrone chiaro e il grigio è tufo, il marrone scuro è roccia lavica, quella nera lucida è ossidiana. Pare di vedere un film al contrario, dove al posto delle colate e dei lanci verso il cielo delle antiche eruzioni, si vedono gli smembramenti e le erosioni. E’ la resa al campo gravitazionale che tutto vorrebbe ben livellato. Tutto qui è in pericolo di crollo.
L’intensità massima di erosione e crolli si ebbe in occasione di una glaciazione intorno a 180.000 anni fa, ma ancora oggi si vedono chiari i segni di un continui rimodellamento.
Il mare blu scuro e azzurro intenso crea un contrasto che ci stupisce, come nel caso della Punta Bianca, che è un grande masso di Ignimbrite bianca che ha una caratteristica sporgenza fuori dall’acqua, o come l’Arco naturale di roccia trachitica marrone sopravvissuta a millenni di erosioni.
Sulla sinistra Punta Bianca, e sulla destra l’Arco Naturale
Verso sud l’isola che è lunga e stretta disegna un semicerchio di larghissimo raggio, all’interno del quale si trova il porto. Dal porto ci sono due strade che portano dall’altra parte dell’isola e si congiungono a metà percorso. In questo porto arriva un traghetto da Formia ed un aliscafo da Anzio. Anche se l’attività turistica è accentuata il porto conserva una fisionomia tipica di porto di pescatori.Prendendo la strada più vecchia dal porto si attraversano alcuni tunnel antichissimi scavati in epoca romana e si passa per l’altro abitato di S.Lucia, che è quasi un tutt’uno con il porto.
Poi la strada sale strettissima e poco trafficata verso la cresta per poi rimanerci per tutto il tempo. E’ una strada così stretta che pare impossibile possano passare due auto nelle due direzioni di marcia, infatti non passano. Spessissimo ti devi fermare per portarti in una posizione favorevole per lo scambio di cortesie: “io aspetto qui, tu vieni più in qua, e quando mi affianchi io mi muovo un pò così tu puoi passare … ed è fatta”.
Le auto sono sconsigliate, anzi, il traghetto Coremar accetta di trasportare solo auto di residenti che non siano laziali e campani, per non avere troppo affollamento sull’isola.
In caso di necessità si noleggiano motorini, e piccole auto. Oppure si gira con pullman di media dimensione che fanno avanti e indietro dal porto al fine-strada di Piana dell’Incenso con una frequenza di 20’ per 1,5 euro a persona.
Già …. quando incontri la corriera sono guai. Perché lo scambio di cortesie non esiste. Tu devi trovare il modo di farla passare, punto e basta.
Dopo alcuni chilometri si incontra l’altro centro importante dell’isola: Le Forna, che si trova nel suo punto più stretto. Da quel punto si vede il mare sia di qua che di là, e in mezzo c’è solo una stretta fila di case e una chiesa.
Un tempo non c’era la strada di collegamento fra Ponza e Le Forna, ed allora si usava una scaletta di antichissima costruzione che scende a picco verso Cala Inferno. Da lì in barca si poteva andare al porto.
Una anziana signora del posto (Ponzese di terza generazione ha tenuto a specificare) mi ha chiesto un passaggio perché rischiava di arrivare tardi alla messa della domenica, e nel tragitto mi ha raccontato che quando lei era giovane qui si viveva di agricoltura e di pesca. La vite, e le lenticchie erano le coltivazioni principali.
Vista aerea dell’isola di Ponza (unica foto fra quelle pubblicate qui non scattata da me)
Tutto il territorio, anche nei punti più impervi ed apparentemente irraggiungibili, presenta antichi segni di terrazzi creati per la coltivazione della terra. Coltivazione che doveva essere alquanto ardua e difficile, perché qui d’estate piove pochissimo.
L’agricoltura aveva preso piede sotto lo stato pontificio, quando fu deciso un ripopolamento dell’isola nel 1572. In quell’anno arrivò la prima ondata di coloni dal ducato di Parma, poi una seconda ondata arrivò 12 anni dopo dal meridione. Nel 1860, dopo che la popolazione era molto aumentata, e di conseguenza i frazionamenti di terreno erano diventati così piccoli da non poterci più vivere, e dopo alcune epidemie, l’agricoltura fu in gran parte abbandonata in favore della pesca.La conformazione della costa non è molto diversa fra il lato sud e lato nord dell’isola; quello esposto a nord è però meno frequentato, perché il mare mosso ed il vento è molto più frequente, e come si può immaginare il mare mosso e l’assenza di spiagge di sabbia non si accoppiano bene per i villeggianti. Però anche sul lato nord ci sono punti interessanti. Uno fra tutti è la vista sull’isola di Palmarola.
Porto
Molti villeggianti ruotano attorno al porto, dove ci sono strettissime stradine solo pedonali fra le case tipiche degli antichi centri, vari negozietti di ogni genere e di buonissima qualità, e dove non mancano i ristoranti, soprattutto nella caratteristica via del corso. Il porto è caratterizzato da una lunga schiera di locali che si affacciano sulla stradina che corre ad un paio di metri sopra il livello del mare, e da una seconda fila, più arretrata che corre su di una seconda stradina parallela alla prima ma al piano superiore. Le case del “piano terra sono colorate di color mattone uniforme che bene si addice alla varietà di colori delle barche di pescatori ormeggiate proprio lì davanti; quelle al piano superiore sono colorate di una varietà tenue e piacevole. Questo disegno ben concepito è il frutto di un progetto di riorganizzazione che fu fatto a metà del 1700, e per la sua realizzazione furono usati molti prigionieri condannati ai lavori forzati.
Dal porto ci sono barconi che portano ad una delle poche spiagge di sabbia (non finissima), quella del Frontone luogo prediletto dai giovani. Una corsa ogni mezz’ora fino alle 20 per 4 euro a persona andata e ritorno.
Porto di Ponza
Oppure si possono noleggiare barchette da 40 a 80 euro al giorno più la benzina (1,5 euro al litro con consumo tipico di 10 o 15 euro). Ovviamente per coloro che non hanno problemi di budget si possono noleggiare anche imbarcazioni più grosse.
Le barchette si possono noleggiare praticamente ovunque. Un tavolinetto ed un ombrellone con la scritta del tipo: “noleggio barche da Attilio e Anna”. Tutti super gentili, educati e corretti.
La figura del noleggiatore di barche è un po’ simile al bagnino delle normali spiagge. La barchetta è l’ombrellone ed il lettino dei meno organizzati, coloro che come me arrivano lì pensando di andare al mare in un posto come un altro.
Capo Bianco
La nostra postazione
Di fronte a Le Forna, c’è Cala Inferno, nome che pare fosse nato dalle fatiche degli scavatori di rocce che in epoche antiche scendevano le scalinate, dove si trova anche un antico acquedotto di epoca romana (scavato appunto nella pietra); è fatto di cisterne scavate nella roccia collegate da un cunicolo di mezzo metro per un metro e mezzo di altezza che si trova all’interno della roccia a 8 m dal livello del mare; seguendo la costa rocciosa è lungo diversi chilometri, fino al porto.
Qui nella parte sud protetta, dove l’acqua del mare è quasi sempre calma ed i venti soffiano deboli, sosta una nave cisterna che pompa acqua nell’acquedotto dell’isola. Nei periodi estivi, quando l’isola è affollata di turisti, l’acqua è consumata in grande quantità, tanto che le navi cisterna fanno la spola e si danno il cambio ad attraccare nella bellissima baia, a 30 metri dalle rocce dove agganciano il tubo e pompano per giorni, in attesa del cambio.
Dal basso l’acqua viene costantemente pompata in cima all’isola, per una altezza di almeno 100 metri.
Vista panoramica da Cala Inferno
Attorno all’isola fanno la spola anche barche turistiche che accompagnano i visitatori in un tour guidato. Una ventina di persone per imbarcazione che sostano ad ogni punto interessante e chi ne ha voglia si butta in acqua; spaghettata a bordo compresa 25€ a persona. Qui di fronte a noi c’è Cala Inferno, e la vista è sulla distesa di oggetti galleggianti: barche a vela, barche a motore di diverse misure, fino ai lussuosi ed esagerati barconi di sceicchi o nababbi che sostano per giorni nella baia. I più grossi sostano ad alcune centinaia di metri dalla costa, poi, più sono piccoli e più si avvicinano. Non c’è barcone lussuoso ed enorme che non possa essere sopraffatto da uno ancora più esagerato, fino a 70, 80 metri di lunghezza.
Oggi ad esempio è arrivato una nave a vela con cinque alberi e tutte le vele spiegate. Royal Clippers si chiama, da intenet ho visto che è una crociera di lusso da Roma a Venezia. Domani chissà cosa arriva.Per un solo giorno siamo stati in casa, e ce la siamo goduta. Abbiamo sempre cenato in casa, perchè il nostro budget ci consentiva poche alternative. Però è stato bello essere tutti assieme ed in relax dividerci i compiti: Robbi cucinava, Silvana apparecchiava, ed io lavavo i piatti. La nostra sala da pranzo era un gazebo all’aperto che ha una ingegnosa ringhiera che si affaccia sul mare, e consente di vedere tutto il mare, anche giù in basso. La ringhiera è fatta di due tubolari di circa 5 cm di diametro ai quali sono fissati dei tondini da armatura di cemento, che sono inanellati a mò di corda. Il tutto è verniciato di bianco, ed il tondino con le sue lavorazioni assomiglia ad una corda. Semplice ed ingegnoso. Per dare l’effetto della corda tesa, solo la parte del tondino che passa dietro è leggermente piegata, in modo da non interferire con la parte che passa davanti.
A sinistra il veliero che ci ha fatto visita, e sulla destra la ringhiera
Cala Gaetano
Solo il primo giorno, dopo l’arrivo e la sistemazione nell’appartamentino in affitto (con vista bellissima), siamo andati a pranzo al ristorante. Ci siamo diretti verso Ponza sulla strada che da Le Forna entra giù, nell’abitato delle nuove costruzioni turistiche. Un piccolo ristorante molto carino, La Campanella, 80 euro in 3.
La giovane avventrice ci ha spiegato che loro Ponzesi vanno alla spiaggia a fine strada, dove percorrendo una stradina nera si giunge fino al mare.
Seguendo le indicazioni non abbiamo trovato alcuna stradina nera, e nessun accesso al mare. Così abbiamo disceso la scala per Cala Gaetano, portando con noi come al solito le pinne e le maschere. Là ci siamo immersi.
Per chi cerca un facile accesso al mare qui non è il posto giusto. A Cala Gaetano, a fine strada si scendono 300 gradini per una ripidissima roccia che cade a picco sul mare. La vista è mozzafiato, nel vero senso della parola. Gli ultimi 50 gradini infatti sono a tutto rischio e pericolo del villeggiante (scalatore). Giù in fondo, sulle rocce, perché di spiaggia qui non vi è segno, ci sono alcuni lettini di gente che viene dal mare con l’attrezzatura al seguito.
Il fondale non è male. I colori sono l’azzurro chiaro dell’acqua con fondo di sabbia bianca, ed il blu scuro dei terrazzi di rocce vulcaniche sommerse o di alghe. Le colate laviche, di antichissima data, creano terrazzi sul fondo che offrono basse rocce ricchissime di vita alternate a profondi fondali bianchi sabbiosi, anch’essi ricchi di vita, anche se più difficile da vedere perché, come le sogliole, mimetizzata e nascosta dentro alla sabbia.
Cala dell’Acqua
Un’altra discesa al mare dei primi giorni è stata quella di Cala dell’Acqua. Qui, la strada bianca, arriva fino al mare, ma l’area è veramente desolante. Grandi insensate costruzioni di cemento abbandonate, residuo di antiche costruzioni della cava di minerali. Alla fine della stradina polverosa c’è una comodo discesa al mare. La polvere sabbiosa è dovuta alla costituzione di arenaria friabile
Fra i grezzi ruderi di cemento scuro, si possono affittare barchette o gommoncini a prezzi più abbordabili, a partire dai 35 euro.
Camminando verso destra, fra i massi ed i resti del cemento crollato, si raggiunge una punta della roccia che si presenta bene alle escursioni subacquee per l’acqua blu e trasparente e per le pareti di roccia interessanti. La profondità è di 10 o 15 metri, ed il fondale è costellato di ruderi di tralicci, che evidentemente erano funzionali all’antica cava ora dismessa. Tali ruderi di tralicci metallici non fanno alcuna particolare impressione sul fondale, ma razionalmente ci si sente a disagio per l’immagine di abbandono.
Ad un certo punto della nostra immersione ho notato un gommone che portava la scritta Protezione Civile, che con altoparlante invitava i pochi villeggianti, che prendevano il sole nella spiaggia vicino alle pareti verticali, ad allontanarsi dalle rocce evidentemente ancora pericolanti.
Cala dell’acqua prende il nome dalla sorgente dalla quale gli antichi romani fecero partire il loro acquedotto, che si trova in alto proprio sopra a questa cala.
Cala dell’acqua
Bagno Vecchio
Il terzo giorno, preso il coraggio a due mani, ci siamo avventurati per il sentiero del Bagno Vecchio. Per raggiungerlo siamo arrivati vicino al porto con l’auto, poi abbiamo trovato facilmente il sentiero. Si sale per un po’ seguendo le indicazioni ben posizionate sui sentieri, poi, seguendo un alto sentiero con viste mozzafiato che poi si inoltra in un boschetto e scende fra folti cespugli ed enormi fichi d’india, si giunge ad un vertiginoso precipizio sul mare. Visto il percorso altamente pericoloso abbiamo rinunciato, ma non avevamo ancora fatto 20 metri sulla strada del ritorno che due cani impazziti si sono rincorsi passando fra le nostre gambe a velocità inaudita ed abbaiando a più non posso scendendo lo strettissimo sentiero a precipizio sul mare, e poco c’è mancato che Roberto si buttasse di sotto dalla sorpresa. I due cani hanno proseguito la corsa forsennata, il primo cercando di evitare che il secondo lo mordesse alle spalle, abbaiando e guaendo fin giù per il precipizio verticale sfidando ogni legge della natura, tant’è che io li avevo già dati per morti.
Risalendo il sentiero abbiamo poi incontrato una signora accompagnata da altri 6 cani. La signora andava giù al mare e ci ha spiegato che …… “non c’è pericolo, anche i bambini di 5 anni ho visto salire e scendere quelle scale”.
Rincuorati l’abbiamo seguita. Il sentiero di terreno scivoloso ed insicuro, largo meno di mezzo metro, passa per una ventina di metri su un dirupo verticale sulla spiaggia di sassi sottostante con un salto di circa 50 metri senza nulla a cui aggrapparsi e senza margini per stare lontani dal bordo, poi iniziano le scale scavate in antichità nella parete verticale, con l’aiuto di una cordicella alla quale tenersi si scendono tre lunghe rampe. Ad ogni rampa ci si trova su di un pianerottolo di poche decine di centimetri con il vuoto su 3 lati tutto intorno senza nessun appiglio, perchè la cordicella nei pianerottoli finisce. La roccia è friabile, e l’appoggio dei piedi insicuro. Vivere o morire si gioca in poco spazio. A tratti poi i cani della signora si divertono a rincorrersi mordendosi abbaiando e guaendo e salire le scale a tutta velocità, per poi ridiscendere a rotta di collo galvanizzati dalla giornata di mare che probabilmente è da tempo una loro routine. Poco importa a loro se si passa o no, se ci sono piedi o gambe sul tracciato. Loro precipitano giù ad una velocità incredibile. E’ la loro montagna russa, il loro Katun.
Il Bagno Vecchio comunque è bellissimo, con le sue rocce verticali nelle quali, come in quelle di Chiaia di Luna, sono stati ritrovati molti reperti dell’epoca neolitica (piccole ceramiche e ossidiane), a testimonianza della presenza umana preistorica.
Il paesaggio lì è fatto di rocce calcaree bianche che a semicerchio abbracciano il mare, e nelle cui viscere sono state scavate caverne e anfratti, probabilmente quando nel 1700 furono costruiti i penitenziari per i condannati ai lavori forzati che vennero poi usati per ammodernare l’arredo urbano della zona portuale. A quel tempo infatti questo era chiamato il Bagno dei Forzati. Il nome Bagno Vecchio fu coniato nel 1820, quando vicino al porto fu creato un nuovo Bagno Penale per 800 forzati in catene che furono spediti sull’isola per la continuazione dei lavori di ristrutturazione del porto, e da allora questo divenne il Bagno Vecchio.
Ponza è sempre stato un luogo di esilio, ma anche di prigionia e di pena. Qui furono esiliati la sorella di un imperatore romano, un papa (nel 536 d.c.), carbonari, camorristi, antifascisti. Inoltre furono trasferite migliaia di prigionieri comuni, tanto che nel periodo borbonico l’isola divenne una zona militarizzata.
Sul lato sinistro delle rocce a picco sul mare che avvolgono la stretta spiaggia di sassi del Bagno Vecchio c’è una piccola apertura subacquea, una fessura ovale alta un paio di metri e larga almeno 4 volte l’altezza dalla quale si passa sull’altro lato dove l’acqua è molto più profonda ed il fondo è di sabbia bianchissima. Dall’acqua sembra un acquario, con un branchetto di pesci scuri che stazionano sempre là, a mezza altezza sul foro azzurro chiaro. Uno spettacolo unico.
Sulla destra la parete calcarea è molto più alta e punteggiata di piccoli terrazzi di tufo giallognolo. In basso ci sono caverne scavate nell’arenaria, ed un tunnel che passa sull’altro lato dove basse rocce vulcaniche levigate dall’acqua consentono di stendersi al sole vicino all’acqua. Queste rocce formano una insenatura con acqua abbastanza profonda che da tempi antichissimi fu usata come approdo.
La signora dei cani possiede una delle varie grotte con ingresso dalla spiaggia, dove tiene le sue cose. Giunta alla spiaggia (di grossi sassi) la signora si stende su una delle poche rocce liscie e piatte che emergono dal fondale basso vicino a riva, e mentre alcuni cani gareggiano a rincorrersi per le ripide scale, altri a nuoto la raggiungono e si accucciano vicino a lei sulla roccia circondata dall’acqua, per poi alternarsi nei ruoli in un interminabile gioco.
Per il ritorno, risalire è pericoloso quanto scendere.
Bagno vecchio visto dal sentiero che porta al faro
A metà strada nella risalita c’è una deviazione per la “necropoli”. Sito archeologico del periodo romano fatto di caverne scavate nella roccia con forme che ricordano le cripte religiose. Più avanti si incontra l’altro sentiero per il vecchio faro. Questo è un bellissimo sentiero, peccato che sia chiuso da metà in poi, e non si possa arrivare fino al faro. La stradina che va al faro è davvero suggestiva, e meriterebbe di tenerla aperta nonostante il rischio altissimo di crolli.
Delfini
Scesi alla Cala dell’Acqua, che di tutte le discese al mare è la più brutta, ma anche la più comoda, abbiamo preso una barchetta a 50 euro più la benzina. Il piccolo motore da 15 hp è appena sufficiente a spingerla in avanti, perché è una barca pesante di legno, di quelle tipiche dei pescatori per intenderci.
La barchetta consente di vedere tutte le calette, e di fermarsi per vedere i fondali, o per fare una nuotata. Un telo permette di stare all’ombra, ma sulla parte anteriore c’è anche la possibilità di stendersi e prendere il sole. Un piccolo cosmo nel quale sentirsi liberi insomma. Per chi come me non aveva mai concepito il mare con le barche come mezzi di trasporto è stata una resa.
D’altra parte non si poteva nemmeno rischiare la vita ogni giorno. Meglio arrendersi.
I fondali vicino alla costa sono ancora animati, a differenza di molte località del sud che ho visitato. Bellissimi colori nelle pareti di roccia, e tanti pesci, anche di media dimensione. Eccezionale è stato il nostro incontro con i delfini. Eravamo soli sulla nostra barchetta nella baia del Vecchio Faro, ad un centinaio di metri dalla costa, quando Robbi ha visto i delfini. Erano vicinissimi a noi. Ho subito girato la barca nella loro direzione, e da quel momento per mezz’oretta ci siamo divertiti a vederli passare sotto la nostra barca, roteare, schizzare fuori e scomparire, per poi apparire di nuovo e così via. Noi eravamo talmente eccitati che siamo a malapena riusciti a fare un paio di foto.
Al porto ci hanno detto che non è frequente incontrarli, e siamo stati molto fortunati. “E’ una buona notizia” - ha commentato il “lupo di mare” che noleggia le barchette fucsia - le alici ci sono ancora, nonostante tutto”.
Chiaia di Luna
Seguire gli itinerari indicati nelle varie cartine di Ponza non è facilissimo; serve anche un aiutino. Per andare a Punta Fieno siamo partiti dall’Hotel Chiaia di Luna, come indicato sulle guide, ma dopo avere percorso un chilometro in salita abbiamo trovato un cartello che indicava “percorso chiuso per pericolo di crolli”. Più avanti un sentiero ci ha portati fino ad una vigna dove un signore stava lavorando. Cortesemente ci ha indicato la strada per Punta Fieno: bisogna salire sul Monte della Guardia e poi da lì si trova il sentiero per Punta Fieno. Dalla parte del precipizio il sentiero è chiuso, nessuno si vuole assumere responsabilità. E’ comprensibile, dopo che alcuni anni fa una ragazza rimase uccisa da un sasso che si staccò proprio dalla roccia della spiaggia di Chiaia di Luna, e solo pochi mesi fa due giovani sono morte nella vicina e geologicamente simile Ventotene.
Chiaia di Luna è una bellissima baia che ho fotografato dall’alto andando per il sentiero che porta alla Punta del Fieno. In alto sulle rocce vi sono resti di antiche necropoli, e al tempo dei romani questa baia fu usata come approdo in rada alternativo quando le perturbazioni rendevano più difficile l’ormeggio sul lato sud. Fu infatti nell’epoca Augustea (20-30 a.c.) che fu scavata una galleria nella roccia lunga 170 m largo 2,2 m per collegare la pianeggiante area del porto alla spiaggia di Chiaia di Luna. La galleria, che è tutt’ora usata se non fosse per la temporanea chiusura per i lavori con i quali si sta tentando di mettere in sicurazza la parete sopra alla spiaggia, e che non abbiamo potuto vedere, parte dall’imbocco della strada panoramica e con una leggera pendenza in discesa giunge a pochi metri dalla spiaggia. Per realizzarlo essa attraversa aree di diversa consistenza, fra cui una durissima breccia trachitica, ed a causa di questo il percorso è abbastanza tortuoso. Per dare aria e luce furono realizzati 5 prese d’aria verticali. Un’opera così impegnativa pare fosse stata realizzata prima solo nel 38 a.c nell’area Flegrea, e forse fu opera dello stesso architetto romano che si cimentò con quest’opera.
Chiaia di Luna
Punta del Fieno
Quello per Punta del Fieno è un bellissimo sentiero che si incontra dopo essere saliti dall’acquedotto, praticamente la stessa strada che porta anche al Bagno Vecchio ed al Faro della Guardia, e oltre metà strada per la cima del Monte della Guardia si trova il bivio ben segnato per Punta Fieno.
Il sentiero scorre quasi in piano a mezza costa fra cespugli di Euforbia [lo stesso arbusto che vedemmo l’anno scorso nel parco dell’Asinara] bruciati da un recente incendio. L’incendio mette ancora più in risalto l’antico lavoro di terrazzamento per la coltivazione della montagna.
Questa è la montagna più alta dell’isola e sorse 1,2 milioni di anni fa dall’ultima eruzione vulcanica che ne formò la cupola trachitica (domo lavico) ad elevato contenuto di silice.
Giunti al dirupo un sentiero a gradini ben percorribile ma a picco sul mare porta sulla lingua di roccia che è chiamata Punta Fieno.
Qui sembra che il tempo si sia fermato. Infatti il versante della montagna che si trova oltre il sentiero è coltivata a terrazzi a partire dalla ripidissima parte superiore fino alla parte bassa che degrada dolcemente verso il mare, e sulla piccola vallata in prossimità del mare c’è una costruzione, una masseria in cui si lavora solo con l’ausilio della forza umana e animale (muli) poiché nessun mezzo meccanico può assolutamente raggiungere questa valle sia dal mare che da terra. Punta del Fieno è uno dei pochi siti dove sono state trovate tracce di insediamenti nel neolitico.
Il sentiero scende agli scogli stando sul limite della zona lavorata, e cartelli indicano la presenza di muli al pascolo oltre il sentiero.
La valle di Punta Fieno vista dal mare
Faro della Guardia
Col mare leggermente mosso, da Punta Fieno non siamo potuti scendere in acqua a causa della pericolosa scogliera, così, dopo una breve sosta per pranzare al sacco abbiamo proseguito per quello che le cartine indicano come percorso 3 (difficile). Si tratta di un passaggio fra gli scogli verso il Faro della Guardia che dura circa un’ora.
Con le gambe buone il percorso è divertente ed “avventuroso” come indica la cartina, e trovare i passaggi fra le rocce non è tanto difficile. Le rocce sono fatte di enormi blocchi lavici staccatisi dalle sovrastanti pareti verticali.
La stradina che porta al faro passando per la cresta della Punta della Guardia, appare come una muraglia cinese in miniatura, ma purtroppo in direzione del faro è chiusa quasi subito da due cancelli insuperabili (sempre a causa del pericolo di crolli).
Arrivati al Faro si passa facilmente sull’altro versante, dove il mare è protetto e l’acqua è sempre calma; questo è il punto dove vedemmo i delfini, ed anche il punto dove nuotando senza occhialini mi sono preso alcune urticate di meduse che hanno lasciato un segno profondo. L’unico punto dell’isola dove abbiamo visto un assembramento di medusette belle, piccoline di colore marrone-rossastro, alcune delle quali tanto piccole da poterle appena vedere.
Dopo un bel bagno ed una lunga sosta sulle rocce abbiamo ripreso il sentiero per il Vecchio Bagno, sentiero che in questo versante sale dolcemente sul ripido costone di un dirupo sovrastato da una minacciosa parete verticale fatta di enormi blocchi di lava nera pronti a precipitare da un momento all’altro. Anticamente questo sentiero doveva essere molto importante, perchè è piastrellato e delimitato sui due lati da muretti di sasso. A tratti la stradina è distrutta dal crollo di qualche masso che precipitando verticalmente ha prodotto l’effetto di una bomba, lasciando uno squarcio che nessuno ha più riparato. Eventi rari ma possibili, ed è per questo che la strada sarebbe chiusa, ma le indicazioni qui sono quasi scomparse, e così è da lì che siamo ritornati all’acquedotto. Una bella gita, fra l’altro in oltre 3 ore di cammino non abbiamo incontrato nessuno.
Sentiero per il Vecchio Faro
Mare mosso
Siccome in questi giorni il mare nel versante nord è sempre agitato volevamo riprendere una barchetta dal Lupo di Mare, giù al porto, perché da quelle parti si rientra sempre bene (a parte il traffico fra peschereggi, aliscafi, yacht, motoscafi, gommoni e barchette varie, ma purtroppo dopo la prima settimana di agosto pare che tutte le barchette economiche al porto siano già prenotate da gente che conosce come vanno le cose qui. Quindi non c’era altra strada che andare da Attilio, a Cala dell’Acqua, dove la costa è tutta esposta alle onde ed al vento, e siccome sono giorni di maestrale l’uscita è stata ventosa ed ondeggiante, ed il rientro “avventuroso”; infatti nel pomeriggio il mare si era rafforzato e dopo aver girato Capo Incenso le onde erano veramente imponenti in proporzione alla dimensione della nostra barchetta, tanto che un navigatore locale ci è venuto a chiedere se potevamo farcela o se ci serviva aiuto….. OK gli ho fatto col pollice, ma in realtà fino al rientro nella Cala dell’Acqua ero molto preoccupato, oltre che bagnato dalle creste delle onde che il vento mi sparava sul viso.
La giornata passata sulla costa protetta però ha ripagato del sacrificio. Le soste di oggi sono state a Cala Core, una bella baia con fondali di sabbia bianca che sembra una enorme piscina con acqua verde trasparente profonda 5-10 metri. Il nome è dato da una formazione di lava rossastra a forma di cuore che è inserita nelle pareti rocciose chiare che circondano la Baia.
Da lì poi siamo ritornati al Faro della Guardia, dove il giorno precedente avevamo dimenticato crema solare e maschera, poi infine al ritorno una spiaggia dopo Cala Inferno che non ricordo come si chiama.
Grotte di Pilato
Per gli antichi romani Ponza fu un luogo di vacanza e anche di esilio fin dall’antichità.
Avessimo avuto più tempo, e se avessimo saputo, avremmo visitato anche i resti di alcune ville romane che si trovano disseminate nell’area che va dal porto fino a S. Lucia, passando per la piana di S.Antonio e Giancos. Una delle ville più importanti era sulla Punta della Madonna, all’estrema sinistra rispetto al porto, sotto al faro, dove la roccia finisce ed iniziano i Faraglioni. Collegati alla villa da una scaletta scavata nel tufo ora scomparsa, proprio sotto di essa ci sono ancora i resti della peschiera che è anche chiamata le Grotte di Pilato. Noi abbamo sostato con la nostra barchetta di fronte a queste grotte, ma non abbiamo avuto la spinta per entrarvi anche perchè eravamo a caccia di opere della natura, e queste erano chiaramente opere umane.
Le grotte di Pilato, le cui aperture verso l’esterno sono ben visibili anche da lontano, sono costituite da 5 ampie e profonde vasche collegate fra loro da canali e da gallerie. Le vasche sono all’interno di caverne di grandi dimensioni interamente scavate nella roccia esclusa una che è esterna. I canali di collegamento fra le varie vasche e fra le vasche ed il mare aperto erano chiusi con un sistema di saracinesche che consentivano l’allevamento di pesci agli abitanti della villa nel periodo romano. Peschiere simili a questa i romani le avevano realizzate anche in altre ville a Sperlonga e Sorrento.
Sulla sinistra le Grotte di Pilato, e sulla destra il porto
Grotte di Pilato, detto anche Pescheria
Frontone
Un giorno abbiamo anche fatto a piedi il sentiero che nella parte centrale dell’isola porta dalla strada in alto sulla cresta, fino alla spiaggia del Frontone. Vicino al sentiero c’era un gruppo di capre semiselvatiche che si sono fatte fotografare solo da lontano. Verso il basso il sentiero è popolato da alcune bancarelle che offrono servizi, bevande e gelati, ed anche un museo di cose locali (che non ricordo). In fondo si arriva sul lato roccioso, dove si trovano resti dell’antico acquedotto, ora interamente colonizzati da giovani signore che prendono il sole. verso la spiaggia si ha subito l’impressione di essere tornati sulle riviere normali, con bagni discoteca, aperitivi ed happy hour. Abbiamo percorso metà della lunghissima spiaggia facendo lo slalom fra i corpi, e siamo arrivati al centro dove un continuo di barconi fanno servizio navetta dal porto.
Palmarola
Finalmente il Maestrale è diminuito, ed il mare si è calmato, così con la barchetta di Dionigi (figlio di Attilio) siamo andati in circa 50 minuti (col motore al minimo) da Cala dell’Acqua a Palmarola che sono circa 7 km. In realtà siamo andati per due giornate consecutive.
Un tempo Palmarola era nota per le piante ad alto fusto, e veniva sfruttata per il legno. Era popolata anche di palme nane, da cui prese il nome, ma ora è quasi brulla, e pare che ci fossero maiali e conigli.
Cala Brigantina. Di Palmarola si possono ricordare tante cose, la prima che abbiamo incontrato è Cala Brigantina, che è una baia con fondale bianco ed acque azzurre. La baia è quasi completamente avvolta da rocce calcaree a picco sul mare, e poche spiagge deserte. Purtroppo in agosto la parte con acque basse assomiglia ad un porto turistico tante sono i gommoni, motoscafi, le barche a vela e gli yacht che vi buttano l’ancora per passarvi la giornata. Ah, dimenticavo, questo tipo di turisti passa sempre le giornate in barca. La barca (o motoscafo o yacht) si trasformano in ombrellone e lettini dove le signore prendono il sole ed i signori fanno altre cose.
Cala Brigantina e grotte dei Faraglioni
Più avanti l’ampia baia cambia colore, e le rocce diventano marroni e nere, e l’acqua più profonda diventa blu. I faraglioni di Mezzogiorno fanno quasi un tutt’uno con la baia. Lunghe grotte consentono di passare dentro alla roccia addirittura con le barche, in un labirinto di cunicoli scuri illuminati dalla luce blu che diffonde da sott’acqua. Anche la Grotta Azzurra, fra i due faraglioni … lì i corpi e le bollicine diventano tutte blu. Tutto diventa blu, quasi fosforescente.Case grotta. Palmarola è disabitata, ma d’estate vi sono alcune strutture di ricezione turistica, un bar, un ristorante, e c’è la possibilità di affittare camere nelle ex grotte. Lì ci siamo anche fermati, fra barconi di turisti e imbarcazioni varie perchè io avevo bisogno di un bar, e quello è l’unico approdo con qualche servizio. A mezza costa, appena a destra della struttura del bar che si trova sulla spiaggia, si possono vedere alcune porticine blu che si aprono sul precipizio sottostante: queste sono camere (ora per i turisti) ricavate nella roccia.
Tutta la parete di roccia nella quale sono ricavate le casine è del tipico calcare bianco con tufi gialli e marroni. Nel 1800 anche a Ponza si diffuse la pratica delle case grotta, pratica che si sviluppò specialmente fra i più poveri.
Porticciolo nell’isola di Palmarola
Polipo
Un incontro speciale è stato anche quello con un grosso polipo, nella costa fra i faraglioni e il porto. Ci eravamo fermati in un punto, dopo tante discussione sul punto più bello dove andare ad immergerci. Robbi lo ha individuato sopra ad una roccia liscia inclinata in un fondale di circa 5 m. Era ben mimetizzato, e dopo che mi ha chiamato lo abbiamo visto muoversi con lunghi tentacoli, poi è partito orizzontalmente con la sua propulsione a getti d’acqua, corpo lungo e disteso e testona in avanti; così disteso sarà stato lungo mezzo metro. Dopo una decina di metri si è posato sul fondo osservando sempre nella nostra direzione guardingo. Si è accovacciato su di un grosso sasso rotondo abbracciandolo, come se lo volesse covare. Poi ha iniziato l’opera di mimetismo sulla sua pelle,ed intanto che Roberto andava a nuoto a chiamare sua madre, che come al solito si allontanava a nuoto verso la riva, io sono rimasto ad osservarlo. Sono tornati che lui era ancora lì, con la pelle che si era fatta ruvida e marrone scuro con chiazze vagamente verdastre. Sembrava un fondale di tufo ricoperto di muschi marini e conchigliette.
Quando Silvana è arrivata sono sceso per farle vedere dov’era, ed avvicinandomi ho capito che lui non si voleva muovere, così l’ho accarezzato sul testone. Non si è mosso di un millimetro, ma ha cambiato colore e la pelle è diventata liscia lucida. E’ stato come toccare l’interruttore di una lampadina tanto è stato istantaneo il contatto ed il cambio da marrone ruvido ad azzurro lucente liscio, riflettente. Insieme al cambio di colore ha diretto verso di me un suo tubo ed ha soffiato un getto d’acqua contro la mia mano. Mi guardava con occhioni teneri ed indifesi, nella speranza di non essere visto, ma con evidente paura.
Anche Robbi gli si è avvicinato, ma non si è mai mosso da lì. Lo abbiamo salutato che covava ancora il suo sasso.
Isola di Palmarola nel punto di avvistamento del Polipo
Cattedrali
A Palmarola è bellissima anche la cala delle Cattedrali, dove una immensa colata lavica ha creato formazioni colonnari che circondano un’ampia baia blu scura con acque profonde e grotte lunghissime. Siamo entrati in più grotte, che sono profonde e strettissime (larghe un paio di metri e profonde oltre 10 metri sotto il filo dell’acqua, più altri 20 m sopra. Le grotte si inoltrano nella montagna per un centinaio di metri, ed alla fine è talmente buio che non si vede più assolutamente nulla.
Solo guardando verso l’esterno si intravede vagamente la luce. Alla fine in nessuna delle grotte abbiamo avuto il coraggio di andare fino alla fine, perchè senza torcia, col buio completo, per andare verso l’ignoto ci voleva più coraggio di quello nostro.
Questo è un giro obbligatorio per le barche di turisti, ma lo spazio è talmente ampio che si ha l’impressione di essere soli.
Qui, proprio fuori dalla grotta, Robbi ha visto una bellissima conchiglietta sul fondo, ed è sceso a prenderla. Debbo dire che ha imparato a controllarsi benissimo, perché era veramente in giù. Un giorno ho misurato l’immersione di Robbi con la corda dell’ancora. E’ sceso a circa -15 m.
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Cattedrali nell’isola di Palmarola
Ingresso ad una grotta delle cattedrali di Palmarola
Ossidiana
Circa 8000 anni fa Palmarola era diventato un importante centro di estrazione di Ossidiana, che è abbondante fra l’altro sul monte Tramontana, dove appunto si trovano le Cattedrali. L’ossidiana a quel tempo (prima dell’età del bronzo, quindi da 8000 a 3500 anni fa circa) era una importantissima materia prima per la realizzazione di vari attrezzi da taglio e armi, come le frecce, le lame ed i raschiatoi. L’estrazione veniva fatta a Palmarola ed in quantità minore a Ponza (oltre a pochi altri centri in Italia – Sardegna, Lipari e Pantelleria). A Palmarola e Ponza le quantità significative di Ossidiana si erano formate circa 2 milioni di anni fa, nel Quaternario antico.
La lavorazione dell’Ossidiana veniva fatta a Zanone, altra isola vicina a Ponza, dove si era creato un insediamento favorito da una sorgente di acqua dolce (unica fra queste isole). A testimoniare una tale organizzazione del lavoro ci sono le miriadi di frammenti scarti di lavorazione. Il prodotto finito veniva poi spedito al Circeo, dove veniva smistato e immagazzinato. Da lì prendeva le varie “strade dell’ossidiana”. Per migliaia di anni l’ossidiana fu un prodotto fondamentale, e l’estrazione su queste isole fu reso possibile dal perfezionamento della navigazione che a partire da 8.000 anni fa divenne una pratica generalizzata.
Punta Incenso
Alla fine ci piaceva tanto anche fare le escursioni a piedi; ed abbiamo fatto anche l’escursione per i sentieri di punta dell’Incenso. Dopo l’arrivo a fine strada, dove si scende per Cala Gaetano, c’è l’inizio del sentiero per la Piana dell’Incenso. Lì c’è un altopiano fitto di cespugli e di innumerevoli sentieri disseminati di cartucce sparate nei decenni a poveri uccelli migratori. Inseriti senza apparente criterio si incontrano piccoli appezzamenti coltivati, e sentieri indistinguibili; diventa impossibile orientarsi. Sapendolo prima ci saremmo tenuti sempre a destra a ridosso del precipizio. Così si arriva alla punta, dove c’è un antico rudere, forse un antichissimo monastero. Prima dell’arrivo c’è una casetta forse abitata, o forse solo per appoggio della persona che lavora i terreni coltivati in prevalenza a vite.
Da qualche parte c’è anche la discesa alla spiaggia di Cala Felice, che è molto bella ma anche pericolosa a causa dei possibili crolli, ma non l’abbiamo trovata.
Cala Fonte
Non avendo trovato la spiaggia lì siamo tornati giù e con l’auto siamo andati a Cala Fonte, dove si parcheggia vicino al mare e dopo una scaletta si arriva agli scogli. Una signora trasborda i pedoni sullo scoglio ad un euro andata e ritorno. Sullo scoglio ci sono anche ombrelloni e sdrai. Noi abbiamo solo fatto un bagno e mangiato i panini, pasturando branchi di pesciolini divertenti con palline di pane, come già avevamo fatto a Palmarola coi pesci più grossettini. Poi siamo tornati alla gelateria in centro a Le Forna. Dopo avere scelto il gelato, seduti sul muretto dall’altra parte della strada si osserva il costone di fronte che è tutto edificato con villette disordinate che occupano tutta la superficie, e sotto c’è la spiaggia protetta con decine e decine di imbarcazioni. Il muretto della strada è alto 4 metri, e sotto ci sono erbacce per un lungo tratto. Sotto al muretto c’è una discarica di rifiuti perché la gente butta di sotto di tutto, e nessuno raccoglie da mesi, forse da anni. Sorprende che un’amministrazione di un paese turistico lasci una tale indecenza in uno dei punti più centrali. Sul resto dell’isola non abbiamo visto tanta sporcizia, ma lì è così.
Cala di Lucia Rosa
Graduatoria
Palmarola ? Ci sono tanti posti incantevoli, ed è difficile dire il nostro preferito .... Ma anche a Ponza ci sono tanti posti preferiti .... è la cala di Lucia Rosa ?, Oppure è il Bagno Vecchio ?
Oppure Capo Bianco con la lunga grotta che la attraversa completamente, e le altre grotte che passano le rocce scure, oltre agli scogli e faraglioni tutt’intorno sono una meraviglia. Anche i fondali lì sono belli. Peccato solo che sia su un lato dell’isola che spesso è battuto dal maestrale e dal mare leggermente mosso. Noi però avevamo scelto un giorno giustissimo per andarci.
Alla fine non siamo scesi a Cala Feola, ed alle Piscine Naturali che erano a due passi da casa nostra, forse perchè essendo Agosto siamo stati un pò respinti dal fatto che lì non ci sono pericoli, è di facile accesso, ed è uno dei posti più suggestivi di Ponza, quindi abbastanza affollato.
Ovunque i fondali sono abbastanza vari, e diversi fra loro. Per esempio, alle formichine (quattro scogli appena sporgenti ad 1 km dalla riva, che è un paradiso dei sub, c’erano conchigliette fitte fitte sugli scogli, cosa che non ho visto da nessun’altra parte. Bello anche il fondale di Cala Fonte, anche se la ricchezza di vegetazione e pesci ci ha fatto pensare un po’ male, forse anche a causa di uno scarico di acque di dubbia provenienza che si vede risalendo la scaletta.
Varie. La madre di Attilio, a Cala dell’Acqua mi ha detto che suo marito lavorava nella miniera che occupava circa 100 persone, e che rappresentava una importante fonte di reddito per gli isolani. Però c’erano molte proteste, perché la miniera di Bauxite voleva espandersi e scavare anche al centro dell’isola, col rischio di separare l’isola in due, così fra tante opposizioni la miniera chiuse, ed il lavoro fu perduto. Su queste isole in passato c’erano cave di Perlite, Bentonite, Caolino, ma ora non si scava più.
Arrigo ci ha poi offerto un vasetto di tonno sott’olio di sua produzione.
Come preparare il tonno sott’olio
Comperare un trancio di tonno largo circa quanto un vasetto che si vuole confezionare.
Bollirlo per 3 ore in una pentola con acqua a sufficienza per coprirlo tutto abbondantemente.
Pulirlo dalle resche e dalla pelle. Confezionarlo in vasetti con olio di girasole. Fare il sottovuoto bollendo a bagnomaria, poi chiudere. Si conserva per 3 anni.
Sopra all’acqua questi sono animali che abbiamo visto: zanzare, farfalle, burdigoni, libellule, gabbiani, lucertole, topi, biscie, ragni, gatti, cani, capre, muli ….
Gatto col quale abbiamo fatto amicizia
In acqua oltre ai delfini l’altro incontro memorabile è stato con il grosso polipo a Palmarola.
Stelle marine rosso vivo e viola. Pesci quasi neri con la coda floscia che amano stare a mezz’acqua, verdesche e scorfani, sogliole in gran quantità, orate e piccoli pesci azzurri. Vicino alle grotte di Pilato, fra le alghe ho visto anche una conchiglia grossa, di quelle alte 40 cm che raccoglievo in Sardegna 40 anni fa per fare il sugo degli spaghetti e l’insalata col muscolo bianco.
Il traghetto Coremar impiega 2 ore e mezza. E’ quello lento, dove puoi salire all’aperto.
Volendo ci sono anche i traghetti veloci e gli aliscafi, ma noi volevamo stare all’aperto.
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Amalia era sposata ed era andata ad abitare in casa del marito e dei suoceri a Orelia, che si trova a Vergato, a pochi chilometri dalla Carbona.
La sfida di Amalia
David I. Kertzer – Rizzoli; titolo originale “Amalia’s Tale”
Ho acquistato questo libro di 260 pagine, formato 14x22,5 cm rilegato con copertina rigida al prezzo di 19 euro.
Ero andato alla presentazione con il 14 Gennaio nel salone delle decorazioni nel borgo di Colle Ameno. Due giorni prima il libro era stato già presentato a Bologna.
Amalia era sposata ed era andata ad abitare in casa del marito e dei suoceri a Orelia, che si trova a Vergato, a pochi chilometri dalla Carbona.
Erano mezzadri, e dopo che il primo figlio aveva compiuto un anno Amalia andò a Bologna all’ospizio dei trovatelli a prendere un bimbo da allattare. Da qui inizia una storia avvincente che porta il lettore a vedere la Bologna dal 1880 al 1900 con una visione storica molto approfondita.
Quella di fare la balia (cioè allattare ed allevare) i piccoli trovatelli a spese dell’orfanatrofio era un modo di racimolare del danaro liquido che per i contadini della montagna era preziosissimo. Poche erano infatti le fonti di reddito. I contadini dovevano acquistare poche cose come sale, olio, fiammiferi, petrolio, ma siccome il loro sfruttamento prevedeva che lavorassero per avere solo le provviste essenziali e nulla di più, per avere un po’ di soldi erano costretti a vendere uova, formaggio, galline ….. Quindi a stringere la cinghia ancora di più.
Molti fra noi sono figli di persone che hanno conosciuto da vicino questa realtà.
L’autore del racconto è uno storico che si diletta anche nella narrativa. La sua narrazione però ha la particolarità di attenersi in tutto e per tutto alla documentazione da lui reperita negli archivi. Kertzer è il rettore della Brown università ed è anche un esperto di storia italiana ed in particolare di storia del Vaticano. Ha anche scritto altri libri su Bologna.
Non voglio raccontare nulla della trama, perché è bello scoprirla man mano che si legge, ma posso dire che alla fine rimane molto da riflettere sull’Italia e sugli italiani. Il libro infatti, pur raccontando al storia della poverissima Amalia, crea le connessioni storiche e politiche che consentono al lettore di capire il perché di tante cose che ancora oggi sono fra noi.
Una raccomandazione: leggetelo!
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Fiaccolata a Marzabotto del 31 Maggio 2011
GALLERIA FOTOGRAFICA
Piazza prima di partire – si accendono le fiaccole; Preparazione alla partenza del corteo fiaccolata; Entusiasmo fra i ragazzi; Sergio Salsedo raccoglie firme e pensieri sul registro; Il Sindaco Romano Franchi e don Arrigo Chieregatti salutano i manifestanti:(don Arrigo ha parlato di alcuni importanti principi di pedagogia che sembrano essere stati dimenticati dalla società moderna - ascolta il video)