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Oggi è il giorno della commemorazione del 67° anno dai crimini compiuti a Marzabotto in nome di una guerra voluta al grido di “vinceremo!” dai fascisti e dai nazisti. L’ideologia della destra si era candidata alla difesa dei privilegi dei più ricchi, dei più potenti, e ricevette l’appoggio della cosiddetta “nobiltà” e della chiesa cattolica.

 

 

 
 

 

Ricordare i fatti è la cosa migliore per tutti

 

 

Oggi è il giorno della commemorazione del 67° anno dai crimini compiuti a Marzabotto in nome di una guerra voluta al grido di “vinceremo!” dai fascisti e dai nazisti. L’ideologia della destra si era candidata alla difesa dei privilegi dei più ricchi, dei più potenti, e ricevette l’appoggio della cosiddetta “nobiltà” e della chiesa cattolica. Appoggio che fu mantenuto fino agli ultimi anni.

E’ vero che alcuni parroci a Monte Sole si comportarono da uomini onesti e rimasero con la povera gente fino all’ultimo, però questo non cancella il fatto che la gerarchia e l’organizzazione della chiesa si era schierata vergognosamente con Mussolini.

La chiesa cattolica pare ora avere dimenticato gli errori del passato, infatti oggi appoggia una destra altrettanto ideologica e becera. Non dimentichiamo e non lasciamo che lo si dimentichi.

Quella della fine di Settembre a Marzabotto fu una guerra contro i civili. Fu una guerra alla quale presero parte nazisti e fascisti. I fascisti sapevano del progetto e lo appoggiarono. Addirittura vi parteciparono attivamente con la divisa da SS.

 

 


 

DAL LIBRO "MARZABOTTO PARLA" DI RENATO GIORGI

 

Cimitero di Casaglia    4 ott 2010                                                                                          

 

Lidia Pirini
« Ci ammucchiarono contro la cappella, tra le lapidi e le croci di legno; loro si erano messi negli angoli e si erano inginocchiati
per prendere bene la mira, avevano mitra e fucili e cominciarono a sparare. Fui colpita da una pallottola di mitra alla coscia destra e caddi svenuta.
« Quando tornai ad aprire gli occhi, la prima cosa che vidi furono i nazisti che giravano ancora per il cimitero, poi mi accorsi che addosso a me c'erano degli altri, erano morti e non mi potevo muovere; avevo proprio sopra un ragazzo che conoscevo, era rigido e freddo, per fortuna potevo respirare perchè la testa restava fuori. Mi accorsi anche del dolore alla coscia, che aumentava sempre più. Mi avevano scheggiato l'osso e non sono mai più riuscita a guarire bene, anche dopo mesi e anni di cura.
Adelmo Benini
«Poco oltre il cancello trovai una scarpa di mia moglie; mi buttai tra i cadaveri e febbrilmente presi a frugare nel cumulo, scostando i corpi rigidi e pesanti. Alla fine, con i piedi sopra una lapide e la testa che ciondolava trovai mia moglie; aveva un grosso foro nella fronte; stringeva ancora le due bimbe tra le braccia, Maria con le interiora che uscivano dal ventre squarciato e la piccola Giovanna priva del capo, strappato da una raffica di mitraglia. Cercai intorno, trovai la testa presso il muro di cinta del cimitero, dove l'aveva fatta ruzzolare il maiale del becchino che grufolava tra i cadaveri; c'era anche la moglie del becchino, ancora in vita, ma con le gambe fracassate. Presi la testa della mia bambina e la deposi presso il corpo, tra le spalle.
«Mio suocero mi chiamò dal di fuori, dicendo che arrivavano i nazisti. Tornammo a vagare per i boschi.
Sempre a Casaglia, a Casa Beguzzi vengono sterminate le famiglie Armaroli, Benassi, Ceré, Nanni, Paselli e Pedriali. Ammassate di fronte alle mitragliatrici vengono falciate trentotto persone tra cui sei bambini.
Presso la famiglia Moschetti i nazifascisti giungono poco dopo che una giovane donna ha dato alla luce la sua creatura; sta per adagiarla vicino a se tra le lenzuola, quando si odono spari e scoppi di bombe. Aiutata dalla madre, la giovane salta dal letto e cerca scampo con il neonato stretto tra le braccia. La madre cade subito, abbattuta sulle scale di casa, mentre la giovane fugge per il campo, insensibile al dolore che ancora le strazia le viscere; corre disperata, cercando con gli occhi tra la terra e le cose amiche il rifugio per la vita del figlio, che vagisce tra le sue braccia. La raggiungono e l'uccidono sotto la vigna, mentre il neonato, buttato in aria, fa da bersaglio ai fucili.

 

 

 

 

Caprara   4 ott 2010                                                                                                                

 

Molta della gente di Caprara di Marzabotto viene rastrellata e rinchiusa nella locale osteria, dove i nazisti la massacrano con le bombe a mano e la distruggono con i lanciafiamme. I caduti sono 107 di cui 24 bambini. Cercano di salvarsi Vittorina Venturi e la madre, saltando da una finestra. Invano: entrambe sono subito fucilate.Leandro Lorenzini
«Il padre lo uccisero subito, il primo giorno del rastrellamento, il figlio il 1° ottobre, con quelli di S. Giovanni. Particolari della strage e cosa facevano i nazisti, non sono in grado di dire: se con loro c'erano anche quelli della Repubblica Sociale, non lo so. So soltanto che quando mi accorsi che ammazzavano tutti, mi buttai in fondo a un fosso, e riuscii a tirarmi dietro anche mia moglie. Nascosti dentro l'acqua, li vedemmo passare vicino a noi, quasi ci toccavano. Non ci videro per fortuna nostra. Fosse stato così anche per il padre e il figlio. Ecco quello che so.
« Dopo la Liberazione tornai a Caprara per lavorare la mia vigna. Capitai sopra una mina, ce n'erano tante. Così adesso mi tiro dietro una gamba di legno».
Roberto Carboni
« Finchè ci furono nazifascisti nelle vicinanze, cioè per cinque giorni, rimasi nascosto. Quando finalmente tornai, mi si presentò la casa bruciata e in parte crollata. Davanti a casa non c'era nessuno, ma come entrai in cucina dopo essermi fatto strada fra le macerie, la trovai piena di cadaveri accatastati. Erano 44. tutte donne e bambini
Parte li conoscevo perchè erano miei vicini, altri erano gente di Villa Ignano, Sperticano e altri luoghi. Li avevano tutti ammucchiati in cucina, poi dalla porta aperto che dava sulla strada, li avevano massacrati con la mitraglia e le bombe a mano. Impossibile scappare, perchè di fuori stavano in agguato e chi provò fu ributtato dentro a colpi di fucile, come si capiva da alcuni cadaveri che facevano mucchio proprio sotto la finestra.
Maria Collina
«Io», ricorda piangendo la donna, «cercai di far capire ad un nazista che lì cerano solo vecchi, donne e bambini, ma lui mi cacciò indietro dicendomi: "Non importare niente! Tutti fare kaput".Gilberto Fabbri,
« Alle quindici, in noi quasi s'era fatto un po' di speranza che non ci avrebbero scoperto, e qualche timida parola si sentiva mormorare sotto voce, quando arrivarono tre nazisti, mascherati da teli mimetici e con gli elmetti ricoperti di foglie. Ci ingiunsero di uscire dal ricovero e ci stiparono tutti nella cucina nella nostra casa di Caprara, di cui sbarrarono le porte lasciando aperta solo una finestra, attraverso la quale, subito dopo, scagliarono quattro bombe a mano di quelle col manico, e una grossa granata di colore rosso. L'esplosione fu tremenda e coprì il grande urlo di tutti, poi fumo denso si stese sui cadaveri dilaniati. Un acuto dolore mi tormentava alle gambe, ma riuscii egualmente a saltare dalla finestra e nascondermi in mezzo ad un cespuglio, distante tre o quattro metri.
« Vidi i tre nazisti aprire la porta della casa e piazzare una mitraglia. Volsi il capo inorridito, e dall'altra parte mi apparvero due donne che scappavano affannosamente attraverso il campo. Sentii degli spari e le due donne caddero una a breve distanza dell'altra.

« Dopo circa un quarto d'ora, sempre rintanato nel cespuglio, vicinissimi a me furono sparati molti colpi e raffiche che si confusero con le urla strazianti delle donne e dei bambini ancora vivi nella cucina. Poi fu il silenzio.Carlo Castelli
«Fuori dell'abitato, dove i prati si allargano verso la macchia lontana, una donna dai capelli bianchi, vestita di nero, correva disperata col fiato rotto dai singhiozzi. Dietro la inseguiva un nazista, non so di che grado, stringeva la pistola con una mano, rideva, senza impegnarsi troppo nella corsa. Si era accorto che la donna non aveva forze per resistere a lungo. Infatti la vidi a poco a poco rallentare, stroncata dall'affanno, e la distanza tra lei e l'inseguitore calava a vista d'occhio finchè quasi si fermò, barcollante, con le mani strette alla gola. Allora le fu sopra, e rideva, l'afferrò peri capelli con la mano libera, le girò lentamente la testa verso di se, e le sparò più volte in faccia».Castellino di Caprara
tutta la famiglia di Eligio Tondi, la moglie e sette figli fu annientata. Egli si salvò nascondendosi in cima a un castagno. Medardo Fabbri fu rastrellato e rinchiuso in una casa di Ravecchia di Cadotto. Dalla finestra assistette a uno spettacolo agghiacciante. Tutti i componenti la famiglia che abitavano la casa, vennero messi in riga contro il muro della stalla. Un nazista, con una grossa pistola, li uccise uno per uno, bimbi compresi. A pochi metri, una cinquantina di commilitoni assistevano impassibili. Piangendo, un bimbo si aggrappò alle gambe del boia, questi se lo scrollò con un calcio e lo finì con una colpe al cranio.

 

 

 

San Martino     66° Anniversario    4 ott 2010                                  

 

 

Casone di S. Martino
diciotto persone perdono la vita, Mirka Parisini, incinta di sei mesi viene denudata e pugnalata al ventre; poi le sparano due fucilate al petto.Rifugio di san Giovanni
Quarantasette persone, tra cui dodici bimbi e due suore, cercano scampo in un rifugio di San Giovanni. Trovano tutti la morte più orrenda. Cadono la moglie e i cinque figli di Gherardo Fiori, i familiari di Mario Fiori, di Edoardo Castagnari, di Giuseppe Massa, di Pietro Paselli, e altri ancora.San Martino
Al bivio tra la chiesa e il cimitero di S Martino, i nazifascisti adoperano la benzina per distruggere i corpi di cinquantadue persone massacrate dalla mitraglia. Gaetano Luccarini è abbattuto e bruciato con la moglie e sei figli; la famiglia di Angelo Lorenzini ha tredici morti, Augusto Casagrande sei; cade anche la famiglia del parroco don Ubaldo Marchioni, tutti meno il vecchio padre.Giuseppe Lorenzini.
« Il giorno dopo, a S. Martino, vidi lontano un gruppo di gente, tolte donne e bambini, con un solo uomo in mezzo con una gamba offesa, sparpagliarsi per i campi a branco, senza una direzione precisa. Sentii dei colpi, poi i nazisti li circondarono e li raggrupparono. Fecero presto, ve lo dico io; picchiavano sulle dita e le unghie delle mani e dei piedi con i calci dei fucili. Li portarono proprio davanti alla porta della nostra casa, dove li fecero ammucchiare e li massacrarono tutti con le mitraglie. Poi, uno per uno, gli diedero un colpo di fucile alla nuca.
«Tornarono ad ammucchiarli, perchè nel morire s'erano un poco dispersi, spinsero sul posto un carro di fascine, in modo da coprire tutti i cadaveri, fuori non spuntava neppure un piede, poi diedero fuoco. Inutile dire che anche le case furono tutte bruciate. Della figlia di mio fratello, di quattro anni, non siamo mai più riusciti a trovare la testa.
Duilio Paselli
Arrivarono i nazifascisti e gli massacrarono la famiglia.
«Poi li bruciarono con le fascine e con dell'altra roba che avevano loro. Uno della famiglia Lorenzini di S. Martino, che aveva assistito al massacro, mi raccontò in seguito che mentre erano chiusi nella parrocchia, prima di essere massacrati, una mia figlia sposata, col suo bambino al collo, nel vedere uccidere il marito sotto i propri occhi, si scagliò contro i nazifascisti chiamandoli vigliacchi e assassini. Uno delle SS le rispose nel nostro dialetto: essendosi subito accorto che così si era tradito, fece segno agli altri e portarono tutti fuori al massacro, anche mia figlia col bambino al collo».

 

 

 

Cadotto Prunaro Steccola       4 ott 2010                                                    

 

145 sono gli assassinati: di essi 40 bimbi.
Sono completamente distrutte le famiglie di Luigi Ferretti, di nove persone, quella di Giuseppe Rossa, di sette, e quelle di Marino Stefanelli, Giovanni Commissari, Giuseppe Nanni, Alessandro Chimi, Augusto Dall'Uomo, Marino Nadalini, Augusto Crani, Celso Stefanelli, e le famiglie Marabini e Mengoli, sfollate da Bologna.
A Cadotto vi è una sola casa, due sono le case di Steccola, una a Prunaro di Sopra e una a Prunaro di Sotto. Isolate a mezza costa, ma prossime, quasi a portata di voce.
Augusto Rosa, un vecchio alto, curvo, dagli occhi sempre arrossati, ad Albergana di Cadotto ha perduto sette familiari. «Ricordo», dice, «che vennero i nazifascisti e ammazzarono tutti! ».Aldo Gamberini
Dopo circa un'ora e mezzo ch'ero nel fosso sul sentiero per Cadotto, più in alto di fianco, vidi passare una colonna di civili, quasi tutte donne e bambini; andavano in fila, avevano con sè fagotti e valigie. Era una famiglia del Palazzo. Sei di quelli col 44 sulle mostrine a mitra puntati incalzavano la fila e la tenevano unita. Guardai bene se c'erano i miei, non li vidi e provai un po' di speranza. Pensai che li portavano in campo di concentramento. Dopo un poco invece tutto d'un colpo, mi arrivò un grande urlo, sembrava una voce sola, mentre spari non ne sentii. Li avevano massacrati tutti sotto Prunarino.
«Quando le SS arrivarono a Cadotto, chiusero dentro tutta la gente, poi diedero fuoco alla casa. Il fuoco iniziò dal basso e la gente man mano che le fiamme salivano, correva nelle camere sopra e nel solaio. Ciò aveva fatto una prima squadra di SS che però si era allontanata subito. Quando la gente per non morire bruciata tentò di scappare dalle finestre e dalle porte, una seconda squadra di SS li attendeva fuori e li fucilava. Così perirono i miei. familiari, sette figli, il maggiore dei quali aveva ventidue anni e il minore cinque, la moglie, una nipotina di trenta mesi, una sorella e due fratelli.
Prunaro di Sotto
famiglia Sassi, i genitori molto anziani, due figli maschi di cui uno sordomuto, le figlie Adele e Graziella, e le due bimbe di Graziella, Gianna di cinque anni e Annarosa di tre. Da qualche tempo abitava con loro anche la Albertina, una giovane sposa di Sperticano, il cui stato di gravidanza era ormai avanzato ed evidente.Adele Sassi
Un altro intanto era salito nelle camere di sopra, dove lo sen¬timmo urlare: si affacciò dall'alto della scala e gridò parole concitate nella sua lingua. Il biondastro ripetè a noi le parole, in italiano: "Dice che ha trovato dei medicinali". Fece una breve pausa, poi: "Ve la fate con i partigiani, eh?" e ridacchiava scrollando il capo. Ci squadrò a lungo una per una, facendo rotare il mitra.
«La notizia ci aveva riempito di terrore, perchè dopo un po' ag¬giunse sorridendo, in dialetto bolognese: "Adess avi pora, ed nueter!" ( Adesso avete paura di noi).
« Graziella, tirandosi dietro la Gianna, andò verso la porta di cucina: fu la prima a morire con un urlo straziante; il biondastro le sparò in faccia; ella cadde con la bimba che stringeva sempre in mano la sua pagnotta. La ritrovammo tempo dopo, al nostro ritorno, che stringeva ancora i resti della pagnotta rosicchiata dai topi.

Poi il biondastro sparò a noi: la sposina incinta si abbattè colpita in fronte, io caddi a terra abbracciata alla mamma; mi accorsi di essere soltanto ferita a una mano. La piccola Annarosa, seduta in mezzo alla stanza, terrorizzata, urlava con le manine protese verso la madre.
« Il nazista che era nella camera di sopra scese le scale e col nostro assassino andò in tinello, dove si misero a spaccare tutto e a rubare. Il pianto disperato di Annarosa attirò l'attenzione del biondastro che tornò in cucina, brontolando tra i denti, e con un colpo di pistola ammazzò la piccola.
SteccolaAugusto Grani
« Quando i nazisti diedero fuoco alle case e alle stalle, tornai a rifugiarmi nella macchia, tremante per la sorte dei miei e adirato verso me stesso, per non essere riuscito a portarmeli dietro».Maria Tiviroli
di nove anni, unica sopravvissuta.
« Fuori del rifugio, vedemmo il fuoco era già alto nelle case e nelle stalle, tutto bruciava e un fumo denso e nero nascondeva ogni cosa. Adesso noi non dicevamo neppure una parola, si sentivano solo venire dal fuoco sibili lunghi e strani rumori. Il nonno era lento a muoversi, per colpa dell'età, e loro agivano come chi ha fretta. Visto che anche a minacciarlo e dargli delle spinte il nonno non poteva andare come volevano, si spazientirono: due gli si buttarono sopra, l'afferrarono per i piedi e le spalle, lo dondolarono un paio di volte come un sacco e lo scaraventarono, che urlava e si dibatteva, in mezzo a un pagliaio in fiamme. Non assistemmo alla sua fine, perchè ci fecero subito camminare di fretta sul sentiero, ma tre giorni dopo lo ritrovammo tra la cenere, bruciato dalla cintola ai piedi.
«Nella fila nessuno fiatava. Marciavamo veloci, io mi tenevo stretta alla sottana della mamma, sempre però con gli occhi alle armi, che due nazisti in testa e due dietro, tenevano strette sotto l'ascella. proprio davanti a noi camminava mia sorella Gina, di dodici anni, che si voltava di continuo a guardare la mamma, come per invocare protezione.
« Impiegammo meno di cinque minuti per arrivare a Prunaro. Ci fecero fermare in mezzo al campo, sempre infila, e i nazisti (saranno stati una ventina) si riunirono a parlare. Notai con sorpresa che tra loro c'era un biondastro con un dente d'oro in mezzo alla bocca, in precedenza da me conosciuto in casa mia, dove veniva sempre con i partigiani. Lo chiamavamo con un nome ridicolo, Cacao, e adesso mi meravigliavo di vederlo trattare coi nazisti da pari a pari. Anzi, questo Cacao ad un certo punto si diresse alla nostra fila e puntando il dito verso mia madre, disse: "Questa donna cucinava per i partigiani". Quindi segnò altre donne e di ognuna disse che lavava o cucinava o faceva la staffetta per i partigiani.

« Un nazista venne da noi e col dito indicava a ognuno una testa di morto disegnata sul berretto, e rideva. Intanto due di loro s'erano messi di fianco alla nostra fila e avevano cominciato a preparare dite mitraglie. A quella vista mi sentii il sangue che se ne andava via e mi ranicchiai contro mia madre. Ci fecero segno di voltarci e tornare a Steccola: ubbidimmo tutti subito, e ancora non c'eravamo voltati, che aprirono il fuoco.
Caddi ai primi spari, colpita al fianco destro: "Ecco una schioppettata!" pensai, vidi tutto buio e chiusi gli occhi.
« Quando tornai a capire, mi accorsi di essere sepolta sotto il corpo della mamma e di un'altra donna: i nazisti si muovevano intorno e davano un colpo di pistola nella testa di ognuno. Io ero un ragnetto piccolo e magro, di grande avevo solo gli occhi e le treccine; rannicchiata sotto mia madre e l'altra donna, non mi videro e mi salvai. Stetti là sottofino a sera. Una certa Lucia, una signora sfollata da Bologna, continuava a lamentarsi e invocare la sua bambina e suo marito: e morì dopo molte ore.

 

 

 

Casone di Rio Moneda       66° Anniversario                     4 ott 2010

 

Laura Musolesi
«Il primo nazista che spuntò dalla cantonata della casa sparò contro l'imbocco del rifugio, colpì una donna al braccio. Poi ne giunsero altri, il comandante della squadra dette ordine di prenderci fuori, ci misero in gruppo di fianco al rifugio, ci portarono via tutto. Ci chiedevano se avevamo dell'oro, strappavano la fede a quelle che l'avevano, gli orologi dal polso, frugavano nelle borsette, fracassavano le valigie, distruggevano tutto quello che non avrebbero potuto portare con sè, si contendevano i fiammiferi e le sigarette.
«Intanto noi avevamo la mitraglia puntata contro da circa mezz'ora, già pronto il nastro delle cartucce, in attesa di essere massacrati. Un tenente delle SS girava avanti e indietro impaziente, poi si avvicinò alla mitraglia. C'era un italiano, un milite della Brigata Nera, e il tenente gli parlò in tedesco.
«Io guardavo da tutte le parti dove potevo scappare ma i mie occhi non vedevano che nazisti armati. Mi sentivo la morte vicina e una gran sete. Il tedesco ci fece un cenno che stessimo più uniti, quello delle Brigate Nere era proprio contro la mitraglia Dissi alla signora Fanti: "Ci ammazzano come cani!". Le vidi la morte in volto, era colore della terra. Non capivo più nulla. Solo sentivo i bambini piangere e gridare: "Non abbiamo fatto nulla, non vogliamo morire!", e si aggrappavano alla giacca del tenente che li respingeva. Anche le donne gridavano e pregavano di non ucciderle.
« Questo durò un poco, era straziante. Mi accorsi che anch'io gridavo forte: "Non voglio morire!". Staccai dalla sottoveste una "benedizione" che avevo sempre avuto con me, mi feci il segno della croce dicendo: "Cristo salvami, ho una bimba che ha bisogna di me".
«Allora il tenente fece segno di abbassare la mitraglia, e disse: "Nicht kaput!". Il milite lo guardò come per chiedergli se dovesse sparare o no. Lui fece l'occhietto, e mi bastò per capire tutto.
« La mitraglia cominciò a sparare, la prima pallottola fu la mia, mi passò tra le gambe. Vidi Burzi abbattersi, Bruno pure. Lasciai il gruppo correndo come una pazza, mi buttai in mezzo a un groviglio di spini e di more. Un tedesco mi vide, accennò a un altro dov'ero nascosta, questi mi trovò subito, io lo pregai di lasciarmi stare, ma lui stizzito mi rispose in tedesco, e io capivo che voleva dirmi che se erano morti gli altri dovevo morire anch'io. Però non gli riusciva di mettere in canna la pallottola. Appena potè, mi sparò nella testa, ma non mi colpì, benchè fossi molto vicina; io mi alzai lasciando la mia roba, corsi via alla disperata; tutti mi sparavano dietro.

 

 

 

Canovetta di Villa Ignano    4 ott 2010                                                       

 Luciano Montanari
«Parlavamo tra noi sottovoce, a frasi brevi, ognuno cercava di dire la sua, ma in tutti era una gran paura. "Era meglio se ci caricavano sul camion", diceva uno. "Se si tratta di lavorare non ho paura", dichiarò Guido Marini. "Ci ammazzano tutti", continuava a ripetere uno lungo, girando intorno il capo.
«Il vecchio di ottant'anni, un po' ci ringraziava per l'aiuto, un po' bisbigliava preghiere. Io ero guardingo, mi aspettavo qualche brutto tiro.
«Ci fecero fermare e il sottufficiale disse, in discreto italiano, che si andava a Vergato a lavorare, ma dovendo ora attraversare una zona infestata da "banditi", era prudente che consegnassimo loro gli orologi, il denaro e i documenti. Fummo obbligati a togliere anche le scarpe e vi frugarono dentro. Riprendemmo la marcia sempre per tre e arrivati presso la Canovetta, ordinarono di avvicinarsi al muro di una casa. Quasi subito sentii sparare; urla, rantoli e lamenti si levarono per l'aria.
«Mi buttai a terra ai primi colpi e fui sepolto dai corpi degli altri. Finiti i colpi di fucile, seguì una breve pausa; sentii quindi degli scoppi fortissimi, e come dei contraccolpi mi stordirono, facendo sussultare i corpi che mi seppellivano: erano le bombe a mano. Alla fine ci vennero a contare e se ne andarono via».

 

 

 

 

Casa Baolini      66° Anniversario 4 ott                                                           

 

Amelia Pirini
« Uscite all'aperto, fui io a notare i nazisti che salivano verso noi: erano molti, uno dietro l'altro, sembravano una fila di formiche grigie attraverso i campi arati. Riempii in fretta, con quanto poteva contenere del corredo preparato, una valigia, e la tenni a portata di mano.
«I nazisti intanto avevano occupato i dintorni della casa; la contadina sull'aia si mise a parlare con loro, non so cosa diceva, credo cercasse di trattenerli. Senza far parola, ci fecero segno di andare per un sentiero in mezzo alla vigna; presi la valigia e mi incamminai subito, con Francesco davanti, seguita dalla mamma, che si affannava a darmi aiuto e confortarmi. Pensavo che certamente avevano notato la mia gravidanza avanzata, non temevo quasi di loro, mi preoccupavo che tutto ciò potesse pregiudicare il parto. Mentre procedevo sul principio del sentiero, si sentirono le prime raffiche e un urlo: avevano ammazzato la contadina sull'aia. Mi misi a correre come potevo, con tutte le forze, incitando Francesco ad allontanarsi, a salvarsi. Gli spari si infittirono, sentivo le pallottole sibilarmi intorno: a metà del sentiero m'atterrì un urlo di mia madre; voltai il capo e la vidi a terra che si dibatteva nel fango. Durò pochi istanti, poi rimase rigida.
«Ripresi la corsa sconvolta, e proprio allora anch'io fui colpita ad una spalla; riuscii a tenermi in piedi e riprendere la corsa, ma sotto il colpo avevo lasciato cadere la valigia, avevo anche perduto una scarpa nel fango. Vedevo davanti le gambe di Francesco che si muovevano vorticose sul sentiero tra la vigna; e ciò mi confortava e mi stimolava. Continuai anch'io a correre disperatamente, sempre inseguita dai colpi e dalle raffiche che mi sibilavano intorno e spezzavano le foglie e i tralicci delle viti di fianco e davanti. Non so quanto durarono a spararmi, finalmente, tutta rossa di sangue, raggiunsi una casa dove fui medicata alla meglio.

 

 

 

Cerpiano    4 ott 2010                                                                                                            

 

Nell’oratorio ammucchiano 49 persone, di cui 19 bimbi e 25 donne. I bimbi sono messi in fila contro il muro esterno e con promesse di cibo e danaro a lungo invitati prima, e minacciati poi, a dire quanto sanno dei partigiani. I bimbi non parlano e vengono di nuovo scaraventati nell'oratorio. Segue subito un primo lancio di bombe che assassina trenta persone.
Poi le SS decidono di riposare e a lungo gozzovigliano fuori dall'oratorio. I lamenti di una ferita agonizzante li disturba. È la signora Nina Fabbroni Fabbris di Bologna che un nazista si affretta a finire. Emilia Tossani e il vecchio Pietro Orlandi con la nipote tentano la fuga: vanno poco oltre la soglia. I nazisti possono gozzovigliare tranquilli.Antonietta Benni
«Quando tornai ad aprire gli occhi: "Sei viva?". "Sei morta?", sentii bisbigliare con voce affranta nell'oratorio quasi buio, e i pianti desolati delle donne e i lamenti dei feriti, strazianti si levavano in¬torno a me. Dovevano già essere morte una trentina di persone, quasi tutti gli altri feriti da schegge. Tutto il giorno i nazisti rimasero di sentinella fuori dall'oratorio, e tutta la notte. Avevano fatto dei buchi alla porta, guardavano dentro e ridevano. Di quando in quando le sentinelle entravano e finivano i feriti a colpi di rivoltella. Fuori si sentiva una grande confusione: erano i nazisti ubriachi che suonavano la fisarmonica e cantavano a squarciagola.
«Durante la notte una donna, che forse fino a quel momento era rimasta priva di sensi, cominciò a gemere supplicando che le portassero via il marito caduto a bocconi sopra di lei. Comparve una sentinella, sentii rintronare un colpo di pistola accompagnato da una sghignazzata. Da quel momento nessuna voce si levò più da quell'orribile carnaio.
«Frattanto un maiale affamato, che la sentinella aveva lasciato entrare nell'oratorio, grufolava rovistando tra il cumulo di cadaveri e mordeva le carni dei morti. Un vecchietto tentò di fuggire dalla porta tirandosi la nipotina per mano: li ammazzarono immediatamente.
«La mattina del 30 settembre i superstiti supplicavano: "Lasciateci andare fuori, abbiate pietà di noi! '. "Tra venti minuti tutti Kaput", fu la risposta dei nazisti. Come avevano detto, dopo venti minuti seguì la strage.
« Ci salvammo solo io e i due bimbi Paola Rossi e Fernando Piretti. "Anche la mamma è morta, anche la nonna!", singhiozzavano i bimbi disperati, inginocchiati sui cadaveri dei loro cari.

 

 

 

Sperticano, Colulla, Abelle, Vallego    4 otto 2010 66°                                               

 

Mario Zebri
« La Bruna era incinta, volevano sapere a tutti i costi dov'era il suo fidanzato, pretendevano dicesse che era un "bandito". Lei negò le si scagliarono sopra con le baionette, le squarciarono la schiena, le strapparono dalle viscere la creatura che aspettava di nascere.
Poi la strage continuò sugli altri, scaricarono contro il corpo di ognuno un nastro intero di mitraglia (dicono che sono 150 colpi) i nastri vuoti li misero infila ben allineati, ai piedi dei miei cari riversi in terra. Intanto avevano dato fuoco alla casa e alla vecchia madre nel suo letto.
«Andiamo sull'aia in mezzo ai nostri morti e non sappiamo chi guardare. La piccola Vittoria Paganelli è supina per terra col collo verso l'alto ma al posto degli occhi ha due buchi neri, e i lobi strappati le pendono sulle guance ceree, appena legati da un filo sanguigno. La Bruna, sul ciglio in pendenza, ha le interiora che le escono dallo squarcio: mi piego su di lei e cerco di ricomporre i resti. Tutti perdono ancora sangue dal naso e dalla bocca. Bruno ha il volto sereno, sembra vivo, lo prendo in braccio e lo alzo, per dargli il fiato alla bocca: allora vedo che è tutto forato come un vallo; lo rimetto vicino alle sorelle e al nonno. A ognuno, dopo averli massacrati, avevano dato una pugnalata al cuore. Il portico e parte della casa erano crollati per le fiamme, la madre era sotto le macerie.
« Fino a sera stemmo coi nostri morti sull'aia; poi, per bisogno di vedere qualcuno, andammo dai vicini, al fondo Colulla di Sotto. C'erano diciotto massacrati, donne uomini e bambini, che bruciavano contro le balle di paglia del cortile. Era tutta la famiglia Laffi, con i
Nove bambini , di cui l’ultimo nato ventiquattro giorni prima. I bimbi li avevano gettati ancora vivi tra le fiamme: i grandi prima li mitagliarono. Solo una donna era ancora viva: un colpo di mitra le aveva strappato un occhio e per tre giorni continuò incosciente ad invocare aiuto.
«Allora corremmo al fondo Abelle. Lì i cadaveri erano sette, due in casa, cinque sull'aia, tutti della famiglia di Giovanni Marchi. Due giovani donne, due sorelle, subiscono violenza dagli assassini, poi il figlioletto di una di esse, di sei mesi, lo strappano in due, uccidono le donne nude sull'aia, mettono un pezzo del bimbo sul grembo della madre, l'altro su quello della zia, squarciata dal pube alla gola con arma da taglio.
Altre cinquantatré persone, sfollate o sbandate dai dintorni, hanno trovato nella zona del Trreppiede la stessa tragica fine.
Tagliadazza e Roncadelli
sono rastrellate diciannove persone, di cui otto bambini, e trascinate in località Roncadelli. A loro si aggiungono la famiglia di Gaetano Negri, la giovane sposa Lina Casalini e una famiglia sfollata da Bologna a nome Tomesani. Li ammucchiano tutti nello stesso locale, ma non li massacrano subito: si divertono a lungo a minacciarli delle più orribili morti, poi a trascinarseli dietro per i sentieri.Vittoria Negri
« Avevo allora ventisette anni e abitavo a casa Roncadelli, a un tiro di schioppo dalla Tagliadazza.
Ci buttarono fuori dalla porta in modo violento e uno tirò una bomba incendiaria sul pavimento della stanza che era di cemento, e la bomba non fece effetto.
« Fuori, per il sentiero che porta alla Tagliadazza, stavano arrivando i nostri vicini, tenuti in mezzo da nazisti col mitra puntato. Proprio allora capitò anche la Lina Casalini con una sporta in cui aveva da mangiare: lo portava ai fratelli nascosti. Le chiesero dove andava, rispose con franchezza che era in giro a comprare uova. Non le permisero più di allontanarsi, la costrinsero a stare in mezzo a noi.
« Eravamo così in ventidue e ci incamminammo verso il fosso dei Roncadelli: io gridavo a voce alta di scappare, perchè ci avrebbero uccisi tutti, ma la mia voce si perdeva fra le urla e i lamenti degli altri.
«Due bambini di dieci anni, che conoscevo bene, Nino Amici e Sereno Zagnoni, s'erano messi ai miei fianchi e mi tiravano per la sottana: eravamo i primi davanti a tutti.
« Fatti pochi passi sul sentiero, mi arrestai di colpo e gridai: "Chi può salvarsi si salvi!". E, afferrato Nino peri fianchi, lo buttai dietro un grosso salice sulla riva del fosso, dove con un salto subito lo raggiunse anche Sereno. S'appiattirono ai piedi contro la pianta, a metà imbucati in una piega che il terreno faceva alle radici del salice.
«intanto i nazisti avevano cominciato a far fuoco col mitragliatore e a lanciare bombe a mano in mezzo a noi. Mi riuscì di nascondermi dietro un rialzo di terra, ma tre nazisti che venivano dalla Tagliadazza, mi videro e mi spararono coni fucili.
«Credetti di nuovo che fosse la fine, ma i colpi che picchiavano sulla terra vicino a me, mi incitarono a fuggire: d'istinto corsi con tutte le mie forze verso Monte Sole, che era in faccia.
«Caddi supina in mezzo ad un roveto, senza più forze, mi arrivarono altre scariche e io sapevo solo pensare: "Questa mi prende, questa mi prende!". Mi accorsi poi che avevo una grande ferita in una coscia, ma sul momento non avevo sentito nulla.
« I nazisti se ne andarono subito e allora venni verso casa: vidi la stalla che bruciava e corsi per liberare le bestie, ma le aveva già slegate mio fratello Fernando, che tra i rami della quercia aveva assistito a tutto. Insieme andammo verso il sentiero e il fosso del massacro e i primi due che trovammo furono il padre e la madre, caduti a quattro passi di distanza l'uno dall'altro.
« Nino e Sereno erano ancora in piedi, stretti dietro la pianta, salvi ma incapaci anche solo di muovere la bocca.
« Nel fosso erano a bagno tre tini da mosto e dietro i tini molti si erano precipitati nella speranza di ripararsi dai colpi: la maggior parte dei morti giaceva proprio attorno ai tini e l'acqua del fosso era tutta rossa di sangue. Rita Santini era riversa in un tino, colpita ma non morta. Morì alla sera, senza essere riuscita a dire una parola.
La grande strage continua. Alcuni fienili bruciano presso il rifugio di Sperticano. Tommasina Marchi e Mercede Bettini sono uccise a pugnalate con i due figli, i cadaveri gettati tra le fiamme del fienile. La sedicenne Anna Bignami è raggiunta per la strada e abbattuta. Vallego di Sopra
La moglie, i sette figli, il padre e la madre di Calisto Migliori sono le vittime. Calisto Migliori«
Mi trattenni sull'aia ancora un poco, finchè li vedemmo venire da sotto casa, dalla macchia verso Creda; avanzavano in ordine sparso, nascosti dalle siepi e in silenzio.
«Mio padre, mia madre e mia moglie insistettero ancora.- "Scappa", dicevano. "Tu sei un uomo valido, a noi vecchi, donne e bambini non faranno nulla".
«Le prime luci sorgevano livide e il cielo minacciava una gran pioggia. Mi convinsi anch'io che i vecchi e i bambini sarebbero stati meglio in casa, e mi decisi ad andare solo. Fatti i primi passi, il mio bambino maggiore, Armando, di dieci anni: "Babbo, prendimi con te", mi gridò, ma era scalzo e in camicia e nella penombra la mamma non trovava le scarpe e i vestiti. Così andai solo; i nazisti erano ormai vicini, a pochi passi dall’aia; mi videro bene, ma non dissero nulla.
«Mi ero quasi convinto di avere avuto paura per nulla e tanto più me ne convinsi quando poco oltre, prima del bosco incontrai ancora dei nazisti che mi lasciarono passare senza neppure fermarmi. Mi sentii contento, pensando che se lasciavano tranquillo me, tanto più avrebbero rispettato i vecchi, la moglie e i bambini.
«Ero alle prime piante del bosco, quando sentii gli spari e la pallottole che mi sibilarono vicine: una fronda recisa proprio sopra la mia testa mi cadde davanti. Con un balzo mi buttai tra le piante, al sicuro dai colpi. Un sospetto tremendo mi era venuto, e non mi dava pace: i nazisti mi avevano lasciato tranquillo per non dare l'allarme tra le case; solo dopo essersi appostati intorno avevano cominciato a sparare. Significava che anche i miei correvano un pericolo mortale.
« Nel bosco non ricordo di aver sentito spari, però ero molto con¬fuso e la paura per i miei non mi faceva più ragionare. Volevo tornare a casa, ma nello stesso tempo mi tratteneva il terrore di una disgrazia; così stetti alla macchia tutto il giorno 29 e durante la notte. Solo verso il mattino del 30 mi decisi. C'era una luna chiara che pareva giorno. Io mi accostai alla casa e tremavo: presso l'aia mi venne incontro un manzo sciolto dalla corda e mi meravigliai, perchè doveva essere alla greppia. Lo ricondussi verso la stalla e sul fondo dell'aia vidi qualcosa buttato in terra: mi chinai e toccai il corpo freddo di mio padre. Presso la porta della stalla trovai la mamma, anch'essa uccisa. Perdetti ogni ragione e tornai a scappare ancora nel bosco. Seppi poi che loro tornarono per tre giorni consecutivi.

 

 

 

Anniversario Creda e Monte Salvaro                                 4 ott 2010 66°

 

Ottantuno persone furono sterminate nelle case, nei fienili e nelle stalle: prima fucilate e bruciate, poi i resti minati. Mine sparse attorno e interrate tra le ossa, in agguato, per i sopravvissuti, quando andranno a seppellire i parenti.Carlo Cardi
vide massacrare dieci familiari: il padre, la madre, quattro sorelle, il fratello adottivo, la moglie e due figli, Alberto di sedici mesi, e Walter, di quattordici giorni.
« Di fronte a noi stavano i nazisti con le armi puntate a fare da sentinella. Poi venne uno e cominciò a contare e a dividere gli uomini dalle donne. La cosa diede speranza a tutti e ci fu un gran silenzio. Si pensava infatti che, se sceglievano gli uomini, ci avrebbero mandato in Germania e avrebbero lasciato le donne e i bimbi a casa.
«Ma loro continuavano a ridere, e noi non capivamo perchè. Alla fine tirarono avanti un barroccio e lo misero contro l'apertura del camerone, di fronte a noi. Sopra appostarono una mitraglia e comin¬ciarono lentamente a prepararla, a mettervi il nastro delle pallottole. Continuavano sempre a ridere e a segnare con la mano noi nel came¬rone.
« Improvvisamente ci fu un segnale rosso che passò per il cielo e subito la mitraglia cominciò a sparare e buttavano fra noi delle bombe a mano. Urla e lamenti si confondevano con gli scoppi e le raffiche, tutti cadevano e si ammucchiavano.
«Avevo perduto ogni nozione, vedevo i miei e gli altri travolti a terra: d'istinto cercai disperatamente di salvarmi. In fondo al camerone di lato ai carri, una porticina metteva sulla stalla. Mi lanciai per aprirla e cercai di andarmene quando, girando il capo, mi colpì la vista di mia moglie morta e del bimbo di pochi giorni, che prima teneva in braccio, steso in terra al suo fianco che piangeva.
« Da sotto a uno dei carri mio padre e mia madre, ancora vivi, mi
gridarono di non andare e io non varcai la porta: proprio allora un nazista venne da dentro alla stalla e con la pistola sparava alla testa
di coloro che si muovevano sotto i carri, io vedevo l'arma manovrare e sparare sopra la mia testa e desiderai che mi finisse subito. Il nazista
invece passò oltre, andò dalla parte della mitraglia e ricominciarono le raffiche, le bombe a mano e quelle incendiarie: rimasi ferito al
braccio e alla coscia sinistra.
« Tutto prese fuoco, i bimbi ancora vivi gridavano disperatamente, i grandi non si lamentavano più: uno davanti a me,col cappello di traverso che gli copriva mezza faccia, si sedeva e sdraiava continua
mente, reggendosi un braccio.
«Mia moglie bruciava con grandi fiamme che si alzavano in lingue
turchine sul suo corpo, e un fumo acre riempiva ogni angolo. «Desiderai con ogni forza di farla finita e decisi di lanciarmi contro la mitraglia: vidi il mio bambino di quattordici giorni che piangeva ancora a fianco della madre in fiamme. Mi venne improvviso il pensiero che era meglio se lo ammazzavo subito io, forse avrebbe sofferto meno, ma decisi di non farlo, di affidarlo alla fortuna, in un ultimo ritorno di speranza.
«Mi lanciai contro la mitraglia e mi ricordo che mi pareva strano di dover correre tanto per fare pochi passi, rallentai camminando come un ubriaco nella melma cretosa di un sentiero. Stavo per cadere esausto, quando mi arrivò un colpo di fucile che mi passò dal tallone alla pianta, e ciò mi spinse a reagire e a riprendere la corsa. Mi trovai salvo in mezzo alla macchia.
«L'altro mio bambino l'avevo dato in braccio a mia sorella maggiore che s'era messa a sedere dentro il camerone, appoggiata a una colonna con le spalle alla mitraglia. Fu poi ritrovata morta contro l'uscio della stalla; forse aveva tentato di scappare. Non era stata colpita da alcun proiettile, dovette quindi morire bruciata assieme al bambino.
«Sono convinto che non erano solo nazisti, anche fascisti delle Brigate Nere, perchè ci segnavano a dito come persone note e parlavano nel nostro dialetto vestiti da SS.
Attilio Comastri
vi perdette la moglie, la figlioletta di ventisei mesi, un fratello e una sorella.
«Un fascista prese il suo posto dietro la mitraglia e aprì subito il fuoco: sparavano anche con i fucili e buttavano le bombe a mano; durò ininterrottamente per molti minuti.
«Rimasi ferito ad una coscia (sparavano basso per via dei bambini). Mi voltai cercando mia moglie: la vidi già morta. Accanto a lei mia sorella spirava e la bimba non la vidi più. Le abbracciai entrambi e rimasi così a lungo, sepolto dai loro corpi.
«Intanto i nazisti incendiavano il fienile sopra la rimessa e da¬vano fuoco a un mucchio di foglie di frumentone che era dentro in mezzo a noi. Il camerone era di legno.
«Io mormorai sottovoce a due che erano vicini a me: "Non ci hanno ammazzati a fucilate, adesso ci bruciano vivi!".
«Allora Frediano Marchi, ancora vivo, disse: "Una morte così non la voglio fare", e si alzò in piedi. Subito lo falciarono.
«Nel vedere che c'erano ancora dei vivi, vennero tra noi e alzavano gli uomini per la cintura dei pantaloni. Non mi toccarono perchè finsi di essere morto, sotto i cadaveri di mia moglie e di mia sorella. Davanti a me anche Gino Gandolfi riuscì a farsi passare per morto.
« Ad un tratto sui morti e sui vivi crollò il il soffitto del camerone in fiamme. Per una porticina in fondo, io e Remo Venturi, un ragazzo di dodici anni, scappammo nella stalla. Era piena di gente e mitragliavano: riuscimmo a rifugiarci dentro una mangiatoia, dall'alto ci cadeva il fuoco sui piedi che si bruciarono un poco, ma un nazista girava avanti e indietro e non si poteva fuggire.
«Il fuoco arrivò sotto alla pancia delle mucche legate alla posta dove eravamo noi e le bestie impazzirono dal panico. Potevano essere un richiamo per i nazifascisti, allora muovendoci con precauzione dentro le mangiatoie, allungammo le mani fuori dal fieno che ci eravamo tirati sopra, riuscimmo a liberarle dal gancio e farle fuggire.
« Un uomo corse verso la mangiatoia per rifugiarsi con noi, ma una raffica lo colpì in pieno e ci cadde sopra. Dopo poco l'uomo cominciò a bruciare con una fiamma verde e per noi diventò un pericolo molto serio. Riuscimmo pian piano a liberarcene e farlo cadere per terra.
« A causa del fumo acre i nazifascisti non vennero più nella stalla. Stemmo nella mangiatoia fino alle quattro del pomeriggio: sopra bruciava sempre ma per fortuna la stalla aveva i volti di ferro e cemento, quindi il fuoco non riuscì a farle crollare, ma sopra i volti tutto era crollato e bruciava.
Monte di Salvaro
Baccolini Oreste
« Entrarono in casa e cacciarono fuori in malo modo le mie sorelle, Anita di anni 21, Flavia di anni 20 e mia cugina Sestina di 17 anni.
«Poi, prendendole da un mucchio che era sull'aia stiparono la casa di fascine e vi diedero fuoco. La casa in pochi minuti divenne un falò.
« Avevano buttato le bestie fuori dalla stalla e obbligarono le mie sorelle e mia cugina a guidarle sulla strada.
«Le ragazze, terrorizzate, non riuscivano a frenare le bestie, anch'esse irrequiete e recalcitranti.
«I nazisti mi erano vicini, attorno al castagno.
«Fu allora che sentii uno gridare alla Flavia: "Va a de sò a cal besti, cal ven in zò fora dlà strada!" ( Va a spingere in su quelle bestie, che vengono giù fuori dalla stada!) ».
Era vestito da SS ma parlava emiliano. Era un fascista.
«Pochi giorni dopo, con i genitori ed i fratelli, passai la linea del fronte e sfollammo a Roma, a Cinecittà. Sei mesi dopo, di ritorno a Grizzana, trovammo Anita, Flavia e Sestilia sotto il ponte di Sibano, morte ma non sepolte. «Le riconoscemmo dai capelli e dai vestiti. Testimoni oculari mi raccontarono che prima di ucciderle, s'erano sfogati su di loro con ogni violenza ed ogni sevizia».
La strage continuò anche nelle località Maccagno, Casetto, Ca’ di Co, Termine, Capussino.

 

 

 

Anniversario Pioppe di Salvaro    4 ott 2010 66°                  

 

 

tutti gli uomini sono rastrellati e rinchiusi in chiesa.
Sono 52, tra loro due sacerdoti: padre Comini e padre Comelli.
Dopo che la mitraglia ha compiuto l'opera solo quattro sono salvi: Aldo Ansaloni, Gioacchino Piretti, Pio Borgia e Luigi Comelli, che morirà poi a causa delle ferite riportate.Pio Borgia
«Ci avviarono verso la canapiera, e ci si guardava stupiti perchè non capivamo la ragione di andare in quel luogo; molto panico si impadronì di noi quando ci fecero levare le scarpe. Un primo gruppo di circa venti fu fatto schierare sul ciglio della «botte» dalla parte del muro, poi, a un ordine del comandante, li sterminarono a colpi di mitraglia. I rimasti furono obbligati a gettare i cadaveri dei massacrati dentro la «botte», ch'era quasi asciutta e l'acqua del fondo fangosa e bassa. Poi anche noi, in righe di tre, fummo fucilati sempre all'ordine del comandante, che ogni volta alzava di scatto la mano, un po' di fianco al plotone.
« Ci si vedeva poco, era quasi sera e quando mi misero infila, tenni ben fisso lo sguardo sul comandante, attento a non sbagliarmi.. Appena lo vidi che accennava ad alzare la mano, mi lascia cadere a terra, illeso. Mi buttarono dentro la «botte» in mucchio con i cadaveri; i nazisti ci scaricarono addosso altri colpi di mitraglia e fucile, scagliarono molte bombe a mano che tra scoppi e bagliori sconvolsero la catasta dei cadaveri; rimasi ferito .alla mano destra e alla coscia sinistra.
« Quando finalmente fui ben certo che se n'erano andati, era ormai buio pesto, una sera nebbiosa e umida; mi riuscì di aggrapparmi per la griglia della «botte ». Più volte dovetti provare e riprovare a tirarmi su, aiutandomi solo con la mano e la gamba non ferite, col fiato mozzo, terrorizzato, e mi pareva di non essere ancora salvo, prigioniero dell'acqua e dei cadaveri dalle membra irrigidite tra i quali ripiombavo dopo ogni sforzo infruttuoso. Alla fine potei venire fuori. Mi trascinai fino ad una casa vicina, spesso prendendo fiato steso in terra, senza voltarmi mai a guardare la «botte».
Piretti Gioacchino
«Non si vedeva scampo, tutti eravamo rassegnati, con gli occhi bassi verso l'acqua scura ai nostri piedi. C'era un grande silenzio, nel buio arrivava distinto lo scatto degli otturatori per mettere la pallottola in canna. Poi le raffiche e gli scoppi delle bombe a mano.
«Avevo conservato un pò di sangue freddo, o forse l'istinto, e quello mi salvò. Al primo colpo infatti mi lasciai cadere: quando mi scossero trattenni il fiato e feci il morto, e una volta buttato nella "botte" ebbi la fortuna di capitare in un punto di acqua bassa, dove, puntellato sui gomiti, mi riusciva a tenere fuori dell'acqua mezza faccia e respirare col naso. Ritengo di essermi salvato grazie sopra-tutto alla debole luce dell'ora ormai tarda per la stagione d'autunno.
Rimasi là dentro fino a notte, in quella che non era più acqua, ma un liquido spesso e viscido fatto di fango e di sangue. Appena uscito dalla "botte" trovai uno orribilmente ferito, che si reggeva gli intestini con le mani, perchè li perdeva da un grande squarcio al ventre. L'aiutai a raggiungere una casa disabitata, da dove non fu più capace di muoversi, e morì. Sentii nel buio dei passi che mi spaventarono, seppi poi che era un certo Ansaloni, anch'egli scampato dalla "botte".

 

 

 

 

Anniversario Casa Beguzzi       4 ott 2010 66°                                

 

ventitrè persone vengono massacrate, fra essi quattordici donne e bambini. Si erano riparati tra Casa America e Cà Belvedere nel rifugio Beguzzi. Gino Chirici
«A un certo punto, duecento metri di fronte a noi, vedemmo un ciglio elevato sopra il sentiero e, ritto in piedi, a gambe larghe, immobile, a braccia conserte, un nazista che pareva disarmato. Ci fecero segno di salire sul ciglio e si vide che sotto, dall'altra parte, c'era un salto di venti o trenta metri in fondo a una scarpata scoscesa.
«Appena il primo della nostra fila fu presso il militare immobile, questi sciolse le braccia dal petto, gli scaricò all'improvviso la pistola sulla testa, e lo vidi rotolare pesante per la scarpata. Così il secondo. Venivo terzo, mi buttai capofitto nel burrone e arrivai in fondo pesto e ferito, perchè mi avevano sparato al volo. Mi spararono ancora, per fortuna senza colpirmi. Io mi finsi morto. Abbandonai il luogo a sera fonda, vagai per le macchie e i campi senza meta, finchè tornai al rifugio dov'ero la mattina.
««Avevano massacrato tutti, donne e bambini compresi, parte dentro, parte all'esterno del rifugio. Mia figlia, il vecchio ammalato e la bimba di sei anni, erano morti nei loro giacigli».
Bruno Pedriali
«Noi eravamo preoccupatissimi e chiedevamo dove si doveva andare, che quella non era la strada del rifugio. Ci fece segno di andare avanti verso la scarpata. Mentre camminavamo in fila in¬diana sopra il ciglio, dietro il quale sprofondava la scarpata, sentii un colpo e mi voltai: alle mie spalle Betti Domenico aveva mandato un grande urlo ed ora rotolava verso il fondo. Io e Pelagalli Mario ci buttammo ad occhi chiusi giù per il burrone. Sentii poi i tedeschi che cercavano tutto intorno, ma non mi videro, benchè passassero molto vicini a me ».

 

Renato Giorgi

 

Renato Giorgi raccolse le testimonianze che ho riportato qui sopra e le pubblicò nel 1955, nel libro Marzabotto parla.
Oltre a essere stato poeta, narratore e insegnante, durante l’ultimo conflitto mondiale comando' le brigate partigiane (comandante Angelo) che entrarono a far parte della divisione Armando, forte di oltre 2500 uomini. Dopo il 1945, rientrato nella societa', fu funzionario del PSI, ed eletto sindaco di Sasso Marconi, amministrando la citta' per nove anni.
Oltre a questo, Renato Giorgi e' stato sempre una figura amata e stimata per la sua integrita' e la sua umanita', che lo posero costantemente al di sopra delle parti e degli schieramenti.

 

Renato Giorgi


 

   
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