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Madonna di Rodiano

un pò di storia

 

Chiese parrocchiali della diocesi di Bologna ritratte e descritte - Tomo terzo - 1849

SS Salvatore di RODIANO


Flagellata dagli odii cadeva la libertà in Italia nei tre secoli dopo il Mille. Popolo e grandi spartiti in guerra spegnevano la propria forza e felicità. Ostinato valore , maravigliosi ardimenti, pronta abbiezione , fervore nei campi, villa nelle case, agonia d'indipendenza, straniera servitù preparavano morte alle repubbliche. Feudali avari, prepotenti, libidinosi, perpetuo lottanti co' municipii; armi e sangue nelle città, nelle scuole, nelle chiese; rabbia di fazioni, tirannia di nobili, strazio di plebe, ogni cosa in ira, tutta Italia in lagrima declinava alla propria consumazione.
Senonchè alcuni uomini, cui pesava altamente questo fato tristissimo del bei paese adopravansi a tutta possa onde render concordi i voleri, libera l'educazione, forte e rispettato il governo nelle città, franche le terre e le piccole comuni dalla schiavitù dei tiranni che le opprimevano. E tanto operava pel meglio di questi luoghi il bolognese Senato; il quale nell'anno 1123 riscattava dal ferreo giogo dei lor padroni molte castella sui monti, ed in ispecie quelle di Sanguoneda, di Capriglia, e di Rodiano; le quali dopo la fuga degli odiati dominatori faceano spontanea dedizione al bolognese reggimento. Questo poi, visitando col mezzo di legati i sottomessi paesi, provvedevali di soldatesche, di vettovaglie e di ottimi governanti; e perchè il castello di Rodiano era assai forte e trovavasi sulla strada che conduce al Frignano, si pensò per vie meglio difenderlo di affidarne il presidio ai capitani più esperti e valorosi. Quindi nell'anno 1312 venne dato al prode Federico conte di Panico, amico allora ed alleato de' bolognesi; il quale godeva fama di celebralo guerriero, e nome di saggio e prudentissimo magistrato. E veramente fu gran ventura che quivi tenesse stanza un capitano di si alto senno, mentre nell'anno 1322 i modenesi comandali dal terribile Passarino Bonacossa vennero per espugnarlo e conquiderlo. Posto da costui l'assedio sul finire di Marzo, e cinto il castello d' ogni intorno con numeroso esercito, senza l' intrepidezza, la costanza e il fiero orgoglio del Conte in poco più di due mesi avrebbe dovuto cadere ed arrendersi. Ma invece volgeva l ' autunno al suo termine: tutta la campagna coprivasi di neve e di gelo, e gli assedianti (già decimati dalle sortite del presidio) non aveano progredito d' un passo. Pur vollero fare l' estremo sforzo; ed inteso da un perfido esploratore come gli assediati patissero difetto di alimenti, e ne fosse quindi scorata la soldatesca, diedero un'improvviso assalto alla rocca, tentando insieme di superare la grossa muraglia del castello e penetrarvi dentro.

Ma invano saliron le scale; invano percossero i muri colle ferrate macchine. Gli assediati, sempre condotti ed animati, dal prode Federico, fecero prodigi di valore e tennero sì a lungo le difese, chè, venuti rinforzi d' armi e d'armati dal bolognese Reggimento , i modenesi dovettero lasciar l' impresa e darsi a precipitosa fuga. Poche furono le perdite degli assediati, breve la penuria che soffrì il popolo. Ma pure ove il soccorso di Felsina avesse mancato, ovvero di un sol mese l'avessero i reggenti procrastinate, tanti prodigi e una sì lunga costanza di patimenti erano pel tradimento di un delatore miseramente perduti !

Dopo la cacciata dei modenesi il castello di Rodiano fu dal Senato nuovamente munito; e chiamando il conte Federico a più grandi imprese, ne fu dato il governo a Muzio da Lojano, buon soldato ed eccellente cittadino , il quale tenne la rocca per due lustri interi, e resse quel popolo con amore, sapienza e lealtà. Intanto però le gare dei partiti ognor più si accendevano; ogni città, ogni terra, ogni paese era ferocemente agitato dalle civili discordie; e mentre il Senato di Bologna parteggiava pe' Guelfi, i nobili fuorusciti e i feudatari teneano pe' ghibellini e tormentavano con assalti od incursioni quelle comunità, che poste nella dipendenza del Senato, favorivano la Chiesa.

Erasi giunto al 26 Luglio 1334, e già da più mesi il castello di Rodiano era nuovamente osteggiato. Stringevanlo d'assedio i conti di Panico fierissimi ghibellini, divenuti avversi al bolognese Senato, i quali l'aveano circondalo di numerosa schiera , tagliando strade e deviando le acque, tanto che difettando d'ogni vettovaglia potea dirsi ormai prossimo alla resa. Unica speranza rimaneva nel sovvenimento de' guelfi, che condotti da Lando castellano della rocca di Savigno doveano venire in aiuto degli assediati. Fecer raccolta d'ogni cosa ch’era di mestieri la fatto di viveri per introdurli nell' assediato castello, ma con sì poca cautela, che sopraggiunti dagli armigeri dei Panico i soccorsi, furono messi in fuga e loro tolte le vettovaglie adunate. Smarriti d' animo perciò que' terrazzani non esitarono maggiormente ad aprire le porte dei loro castello alle schiere ghibelline, le quali si comportarono come solevasi in quell’età tribolata dalle ire di parte, insanguinata da crudelissime memorie, frutti tutti della barbarie di un secolo di ferro.

Ma il bolognese Consiglio, cui troppo doleva il non avere a tempo aiutato quest'infelice paese, chiamò all'armi le milizie del piano; e composto in fretta un esercito, ne diede il comando al fiorentino Angelo Ferraboschi ed al bolognese Paolino Garzoni, spingendoli alla ricupera dell'espugnato castello. Giunsero le truppe nel terzo giorno d' Agosto e cominciarono l'assalto; ma i Panico eran gente agguerrita e tenevano gran copia di soldati e provvigioni, sicchè per due mesi fu inutilmente fatta prova di sottometterlo. Finalmente crescendo gli aiuti agli assalitori e diminuendo ai Panico il presidio e le vettovaglie, si venne a disperata battaglia nel giorno 3 Ottobre sotto le stesse mura del castello, con immensa perdila di entrambi. E se nell'indomani gli assediati piegarono ai patti della resa, si fu l 'aver conosciuto che ogni provvigione veniva meno, e che ingrossando le fila del nemico, il ritentare la sorte dell' armi era stoltezza e non ardimento, foga inutile di ferocia e non guerresca abilità. Il castello fu quindi ceduto con tutti gli onori di guerra. Il presidio sortì con bandiera spiegata e coll'armi imbrandite, mentre l'esercito dei bolognesi faceva ala al di lui passaggio in attitudine rispettosa e plaudente; dopo di che occupò la rocca e le caserme, ed il paese tornò sotto la dipendenza del felsineo Senato.

Pure l 'ingrata fortuna non era ancor paga di questo, poichè passati appena due lustri, quando il paese rimettevasi dai patiti danni della guerra, un famoso bandito chiamato Bombaroni venne con grossa masnada di scherani ad occuparlo imponendo grave taglia di denaro, e discacciandone la guarnigione.

ll Senato che teneva le truppe a tenzone coi modenesi ed avea la città dilacerala dalle intestine discordie, mandò assai debol rinforzo a ricuperarlo. Per cui consumandosi le soldatesche in un lungo ed infruttuoso assedio, fu mestieri il discendere a patti col bandito e riscattare il castello a prezzo di francar lui e i consorti tanto dall'attentato presente che da tulle le antecedenti criminazioni. Per ben due secoli in appresso ebbe quiete e prospero questo luogo sotto il dolcissimo freno dei bolognesi; i quali con provvida mente avean fatto demolire le rocche e la muraglia del castello affinchè i nemlci non trovassero modo di quvi afforzarsi, e mantenersi. Ma un'altro bandito di nome Camillo Sacchi, che aveva moltissimi seguaci e depredava la montagna, passò nel 1532 da Vergato al castello di Rodiano; saccheggiando le case e rubando gli armenti, e quindi appiccato il fuoco all'abitalo, si rivolse alla vicina comune di Prunarolo, ove fu poi raggiunto dalle armi dei bolognesi che lo assalirono entro una casa e l'uccisero. Quest'epoca infausta segnò la distruzione del castello. l rudianesi ne emigrarono a poco, a poco, ed ora rimangono le sole abitazioni campestri, con qualche civile caseggiato, che il tempo ha quasi consunto, o ridotto a tristissima condizione. La storia non ha registralo altre vicende di questo lungo; il quale dopo essere stato per oltre due secoli una semplice massaria di contado, fu nel riparto territoriale del 1796 sottoposto alla comune di Savigno, in cui trovasi ancora, colla dipendenza dal governatorato di Bazzano. ll suo territorio è molto vasto, quantunque la sua popolazione non sia che di 350 individui. Giace a ridosso di un alto monte, ed ha un suolo assai fertile in genere di biade, vino e frutta. Vi sono buoni castagneti ed estese boscaglie con pascoli e prati artificiali, e vi si alleva molto bestiame, che è la principal sorgente di lucro di queste popolazioni. Le parrocchie che lo circondano sono Tolè , Vedegheto, Calvenzano, Liserna , e Prunarolo. Dista da Bologna circa venti miglia al sud-Ovest, e vi si giunge per la via del lavino, unica praticabile, poichè tutte le altre strade non meritano che il nome di sentieri e di rompicolli. Ma tempo è che si parli dei religiosi edifizi. La chiesa parrocchiale di Rodiano (dedicala al Santissimo Salvatore) si trova indicala nell'autentico campione dell' anno 1378, ed era in quel tempo, come lo è tuttora, aggregata alla pieve di Calvenzano. ll suo giuspatronato che spettava prima ai conti di Panico, fu nel 1406 acquistato dai popolani, i quali poi con rogito del notaro Grazia Baldolini lo rinunziarono nel 15 Aprile 1679 alla R. Mensa. La sua antica chiesa esisteva in luogo discosto ben cento pertiche dall'attuale ed era vasta e solidamente costrutta; ma nell' anno 1652 si scosse il terreno sottostante per una profonda ed estesa frana, e la fabbrica si aperse e in men di tre giorni diroccò. Questa sciagura, che avrebbe sconfortato ogni altro popolo di maggior numero e fortuna, fu la causa di uno slancio religioso che non ha esempio. Posciacchè radunati i capi di famiglia ed eccitati dall' ottimo parroco Don Francesco Monti, fermarono di edificare un nuovo tempio più ampio e più sontuoso dell’altro, e di aggiungervi la canonica ed il campanile. E senza por tempo in mezzo, cercarono il suolo adatto e lo comprarono per duecento lire, poi nel giorno 17 Agosto l654 diedero mano all' opra secondo il disegno del modenese Francesco Martini, continuando il lavoro senza riposo o interruzione. Alla fine di Giugno del 1655 vedevansi già i muri esterni a molta altezza sopra il terreno. Un anno dopo, la fabbrica era coperta ed era compita la cappella maggiore. E nel dì 7 Settembre del successivo 1657 i lavori eran condotti ai suo termine, per cui la chiesa fu benedetta nel giorno seguente, consacrato al nascimento di Maria, e vi si celebrarono i divini misteri. Ultimata questa fabbrica, i popolani innalzarono il campanile, poi dopo circa un decennio la casa del parroco; quindi nel 1681 l’interno della chiesa fu decorato o meglio sopraccaricato di fregi e di rabeschi, e furono fatte le ancone nelle minori cappelle.

L’edifizio è d’ordine corinto, lungo piedi 54, largo 20, ed ha una cappella maggiore molto vasta, nella quale si ammira un bell' altare ed un maestoso tabernacolo. ll presbiterio è cinto da moderna balaustrata di ferro ornala di ottoni, ed in alcune nicchie si conservano molte reliquie di Santi. Il quadro però dell’altare non ha verun pregio artistico. Entrando in chiesa per la porta grande, si trova a mano destra la cappella col S. Fonte battesimale, avente un quadro di buona mano che rappresenta il Redentor divino col S. Precursore al Giordano. La seconda cappella è dedicala a S. Giuseppe con bellissima tela del Gandolfi e con elegante ornato, fatto nell' anno 1812 per le solerti premure del parroco Don Vincenzo Tombelli. Nella terza cappella avvi un quadro con Gesù i crocefisso, che credesi della scuola di Guido, ma è assai mal conservato. Volgendosi a sinistra, il primo altare ha una statua di S. Antonio di Padova. Il secondo un cattivo quadro coi Ss. Gaetano e Filippo Neri. E l' ultimo la B. V. del Rosario co' suoi misteri dipinti in una tela che recentemente
fu ritoccala e ristaurata.

Il secolo in cui venne innalzato quest’edifizio era per le belle arti il secolo di ferro e di piombo. Lo stile ammanierato del seicento domina sopra tutte le parti del tempio; e la pena che quegli ornamenti di pessimo gusto fanno ad un' occhio, esercitalo al bello architettonico, è l' origine de' giudizi sfavorevoli che molti han proferito sù questa magnifica chiesa. Ad onta però di questi difetti, appartenenti in gran parte agli ornati, convien confessare che il tutt'insieme rende attoniti l'occhio ed il pensiero. Pochi anni or sono per lo zelo dell' attuale parroco Don Romano Palotti vennero fuse quattro nuove ed armoniose campane dal bolognese Marcello Franceschi, e furono eseguiti rilevanti ristauri all'esterno delle fabbriche. Bello quindi e pittoresco è divenuto il corpo di questi edilizi, come deliziosa e patetica la sua posizione. Alcuni cipressi, contemporanei del Medio Evo, ombreggiano i contorni del cemitero ed il piazzale della chiesa; e l'uomo di larga cultura non può avvicinarvisi senza provare una forte emozione e un senitmento irresistibile di riverenza. Nel distretto di questa cura avvi un grande oratorio di forma antica, appartenente alla parrocchia, il quale fu edificalo dalla famiglia Lanzarini nell'anno 1644. Esso è dedicalo alla Beata Vergine, e chiamasi il Santuario di Croce Martina, ove concorre moltissimo popolo alle funzioni che vi si celebrano e specialmente a quella del giorno 8 Settembre, considerata la festa principale del paese. Non molto lungi dal Santuario stesso trovasi la cappella di San Gio. Battista de' Mascagni, spettante coll'attiguo palazzo al Sig. Giacomo Bettini di Vergato. Da quì si ascende sulla cima del colle, ove esisteva la rocca o fortilizio dell'antico castello. Ivi si apre all' occhio dello spettatore la magnifica scena delle pianure di Lombardia con interminabile orizzonte; si vede l' immenso anfiteatro degli Apennini, che innalzano verso l’azzurro firmamento le cime nevose, il lago di Ecchia, che nelle fresche e limpide acque riflette le selvose pendici, che ne chiudono intorno le sponde; il castello di Lojano a levante, quello di Monteveglio a ponente più volte rovinati, più volte distrutti nelle guerre fratricide dei secoli di mezzo.

Dott. Luigi Ruggeri

 

 

 

  MADONNA DI RODIANO

Un pò di storia

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Lavanda Val Di Pozzo

 Da: Montagna Bolognese nel Medio Evo

Di Arturo Palmieri

 Da: Dizionario Corografico ......

Di Serafino Calindri

 

Madonna di Rodiano

un pò di storia

 

 

Dizionario corografico, georgico, orittologico, storico della Italia (1781) - di Serafino Calindri

 

RODIANO Fuori di Porta Saragozza lontano ventiun miglio da Bologna, nell' alto, e trà monti che si stendono alla sinistra del Reno a Bologna venendo.

Comune e Parrocchia composta da 301 Anime divise in 63 Famiglie. S. Salvatore è il suo titolare, ed alla Mensa Arci­vescovile appartiene il diritto immediato di col­lazione; è una delle belle Chiese della Diocesi Montana, di ordine Corintio, con sei cappelloni, e con stucchi a rilievo, ha il Fonte battesimale, fù quivi edificata circa 600 passi lontano dalla più antica, che due lavine squarciarono in più parti, e vi fù detta la prima Messa alli 8 Settembre del 1657 e fù abbellita con slucchi a rilievo nel 1681- (428); ora è uffiziata e tenuta con tutta decenza e proprietà dalla religiosa cu­ra del gentile parroco D. Antonio Sacchetti. Appartiene alla Congregazione di Calvenzano, co­me sempre ha appartenuto insieme con l'altra Chiesa esistente nello stesso Comune nel 1366, ed ora del tutto diroccata, e già dedicata a S. Stefano, nominandosi nello elenco di quella età questo Comune Rudignano. La Pieve di Calven­zano, Malalfolle, Vedegheto Toléto, Prunaròlo, e Liserna sono le parrocchie, ed i Popoli, che que­sto che descriviamo confinano. S. Gio. Battista de' Mascagni, e B. Vergine di Croce Martina son gl'oratori ora compresi nel parrocchiale distretto di questo Comune; quest'ultimo fù eretto cir­ca il 1644 per opera de' Lanzarini che ne fece­ro la maggior parte della spesa che importò la sua fabbrica; è Santuario di concorso, e vi è quasi annessa una Osteria. Pochissima e cattiva Uva, non molte Frutta, molta Ghianda non molte Castagne, moltissimi Boschi a Legna suf­ficiente quantità di Fieno, molte terre a sodo, pochissima Seta, e tre misure per ogni semente dal Grano e da Marzatelli sono i prodotti e do­ve si fanno i raccolti annui di questo territorio, nel quale due Fabbri, un Muratore, un Calzola­io, un Sarto un Molinaro esercitan le Arti res­pettive, e alcuni fan professione di lavorare le Burghe da riporre il Grano ed i Marzatelli e Legumi, industria che meriterebbe di essere anima­ta, e varie stoviglie, o mobilie estere, risparmierebbonsi se alla Città fosser condotte con facilità e pochissima spesa, come potrebbe farsi nel calo si eseguisse la condotta della Legna per acqua, della quale abbiam già parlato all'arti­colo Rastignano, e col tempo potrebber prende­re esito pel naviglio ancora presso gl'Esteri.

Il numero ordinario de' morti adulti, i quali non giungono a tre all'anno addita la buona a­ria che godesi in quello territorio. Nel Canale di Scattone sotto il luogo detto Campo Porcellino sca­turisce una sorgente solfurea di non molta con­seguenza, ma la quale potrebbe indursi ad utili­tà per taluni mali delle bestie bovine con poca o niuna spesa, e con molto vantaggio, ma gl'Uuomini o ingrati a benefici del Creatore, o i­gnoranti del bene vicino che possiedono, non s' industriano, se non in quelle cose che hanno dello straordinario, inclinazione o costume che crediamo ben riposta trà il molto numero delle miserie umane. Nel torrente Venola eran già due Molini uno l’esistente de' Lanzarini, 1'altro del Cozzo diroccato e detto ora dei Zoppi Barazia, il quale potrebbe ridursi a beneficio di questo e de' vicini Popoli, se non altro per macinare, e pilare le Castagne. Tre sono i Borghetti di quessto territorio cioè

A la Cà sotto la Chiesa di famiglie 8. Riolo di famiglie 4. Serra di famiglie 9. Antico è questo Popolo, e se a quello luogo ap­partiene una Carta del 934 che esiste trà le scoperte nonantolane, e nella quale vien nominato trà gl'altri luoghi quello di Rodiliana Tumba, in tale caso potiam dirlo altresì antichissimo, e dal no­me suddetto non sarebbe una stravaganza il cre­derlo esistente fino da tempi de Romani. Dal Registro, grosso lib. I. pag. 17. rilevasi, che nel 1123. questo popolo co' suoi vicini di Sangui­neta , e di Capriglio diedesi fotto la clientela e protezione de' Bolognesi, loro donando, ed a Vit­tore Vescovo per la Mensa Vescovile, alcuni edi­fici, che fù promesso di mai alienare, e fù assi­curato con gl'altri di protezione contro chiun­que eccettuato l’Imperatore. Dovea essere na­turalmente all'uso di que' tempi un Castello, e era sicuramente nel 1279 (*). Dalla Cronaca miscella (429) si hà, che nel 1322 i Modenesi, d'ordine di Passarino Bonacossa da Mantova, spediron sotto alle mura di questo Cartello quantità di Soldati a piedi ed a cavallo per levarlo a Bolognesi, mà andò loro fallito il colpo perchè soccorso a tempo da essi restaron prigionieri 25. Uo­mini de' Modenesi che furono impiccati, e gl'al­tri dieronsi alla fuga.

Devesi questa valorosa resistenza alla bravu­ra del Co. Federico da Pànico, alla di cui custo­dia consegnollo il Configlio fino dal 1312, aven­dolo tolto ad un mal'Uomo di cui è ignoto il nome (430). Era tuttavia nel 1323. Castellano della Ròcca di Rodiano il suddetto Conte Fede­rico e raccogliesi d'altronde che fosse uno de' bravi guerrieri della sua età; da questo dovreb­besi argomentare essere stato luogo d'importan­za, con tutto questo i sapienti deputati dal Consiglio a visitare e render conto delle Ròcche o fortezze del Contado in questo stesso anno alli 22 di Agosto, decretarono alli 7 di Ottobre di doversi demolire, e la loro proposta passò in Consiglio (431). Non successe però questa demo­lizione, così afficurando la risoluzione presasi nel Febbraio dell'anno susseguente 1324 dallo slesso Consiglio di spedirsi Soldatesca ed armi a varie Castella da potersi difendere, e tra queste a Rodia­no (432). Vie più rimane confermato dalla valida resistenza fatta da questo, stesso Castello nel 1334, nel quale fù da Conti da Pànico che do­veano averlo prima riconsegnato al Comune di Bologna, almeno Federico, alli 26 di Luglio oc­cupato, e non prima delli 3 di Ottobre reso a Bolognesi, le di cui milizie molti assaltí dieron­gli inutilmente, anzi pagandoli a prezzo di san­gue; e non si arrendè per debolezza di fortifi­cazioni, mà probabilmente per mancanza di viveri, giacche la resa fù capitolata salvo l’onore e le persone, e con tali patti fù eseguita ed accettata (433). Se i Conti l’occupassero per qual­che pretensione suscitata in que' tempi di turbolenza per la concessione a loro antenati fatta, come del vicinissimo Cavriglio, già Capriglio, da Corrado Cancelliere di FEDERICO II. nel 1221 (434), o per altro motivo, la storia del fatto con troppa semplicità da Cronistio nella nota (433) citati è stata a noi tramandata per, non poterne decidere, ciò che per altro può far sospettare le pretese de' Conti si è, che fin dopo il 1550, co­me raccogliesi dall'elenco Muzzolì, era la sua Chiesa giuspadronato de' Conti suddetti, e la pa­rola reddatur del documento riportato alla nota (430). Fù da un Bombaroni circa il 1346 nuo­vamente occupato e fatto ribellare Rodiano ma fù ricuperato, ed il traditore assoluto (435). Chi combinerà quanto noi diciamo con quello ne dissero il Sigonio ed il Gbirardacci, troverà sovente che non andiamo d'accordo, ma combinando il da noi esposto con quello de' documenti citati a­vvà luogo ad effere di noi contento. L'estimo de' Fumanti di questo Comune fù fatto ascende­re nel 1451 a lire mille, ed il regalo da esso fatto nel 1454 a Sante Bentivogli fu di cinque Capretti.

E finiamo questo articolo accennando di volo, che il terreno di questo territorio, nel quale non ci si è presentata cosa rara in materia di fossili , assomiglia a quello di Prunarolo, di Lisèr­na, di Calvenzàno, e degl'altri Comuni ad esso confinanti.

(428) Arch. della parrocchiale

(*) Rilevasi da un Rogito conservato nell' Archivio di S. Francesco fatto li 19 Novembre 1279, e rogato da Graziadio da Piumazzo nel Castello di Rodiàno .

(429) Rer. ital. Scrp. Tom- XVIII. col. 336,

(430) Lib. Ref. + anno 1312. 27. Oct. pag. 159. Cum boc fit, quod Castrum Rudigliani datum fuibet impro­bo viro in custod. pro fex mensibus, ed alla pag. 159. tergo fu la risoluzione del Configlio„ Quod Catrum istud reddatur Federico q. D. Ugoliní de Panico, & fratribus di-oti Federici, prestando predicti Federicus & Fratres Comuni Bononie jur.de custodiendo, salvando, & reddendo dictum Castrum et Fortalicium quotiescumque petitum fuerit preslando bonam securitatem etc. C. B. C.

(431) Lib. Ref. C. fo. 239. e lib. Prov- V. fo. 7. Arch. pub.

(432) Lib. Ref. V. fo. 64.

(433) Adì 26 di Luglio i Conti da Panico entrarono nel Cartello di Rudigliàno. Passati alquanti giorni i bolo­gnesi vi mandarono il campo e dierongli molte battaglie, de' quali furono morti dell'oste l'Amorotto dalla Torre, e Stefano Balordo con molti altri non degni di memoria, e non fecero niente.

Finalmente essendo la gente d'arme de' Bolognesi intorno a Rudiliàno, si arrendè salvo l'onore e le perfone adì 3 di Ottobre. Cron. Misc. Tom. XVIII—Rer. Ital. Scrip. col. 163. E Giovanni da Bazzano Cron. Mut. Rei. Ital. Scrip. TOM. XV. col. 595- allo stesso anno dice.... Et die Dominico feqenti, cioè dopo li 2 di Luglio, Mu­tinenses intraverunt in exercitum. Tunc Comites de Panico intraverunt Castrum Rudiani districtus Bononia. Et tune Bononienses iverunt illuc in oblidionem . . Tune die luna 3, octobris Castrum Rudiani distriictus Bononia restitutum fuit Bononíensibus qui ibi steteram in obsebum per duo menses.

(434) Concedimus et confirmamus etc. Cidricula homi­nibus et eius curte, Cavrilia hominibus et eius curte etc. Ex Tab. Com. de Panico Patavi.

(435) Arch. pub. Lib- Decr. Tadei de Pepolis pag. 115. an- 1346. Liberatur a hanno gratia et amore D. Malatesta de Matatestis Lambertinus de Bombaronis qui fuerat banitus pro proditione, occupatione, et rebellione Castri, feu fortilicia Rudigliani Comit. bon.

 

Serafino Calindri

Serafino Calindri (Perugia, 1733 – Città della Pieve, 1811) è stato uno storico italiano.

Ingegnere e architetto specializzato in idraulica partecipò alla realizzazione del porto di Rimini. Il suo dizionario è oggi un importante riferimento storico per la descrizione di diversi centri abitati nell'epoca in cui visse. Dopo essere rimasto vedovo fu ordinato sacerdote e fu parroco nella città dove morì. È padre di Gabriele Calindri, storico a sua volta.

 

 

  MADONNA DI RODIANO

Un pò di storia

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Lavanda Val Di Pozzo

 Da: le chiese della diocesi di Bologna

Di Luigi Ruggeri

 Da: La montagna bolognese nel medio evo

Di Arturo Palmieri

 

 

 

 

 

 

MADONNA DI RODIANO

un pò di storia

Tratto da "La Montagna Bolognese del Medio Evo" - Arturo Palmieri - Arnaldo Forni Editore – Ristampa anastatica dell’edizione di Bologna 1929 eseguita per gentile concessione della casa editrice Zanichelli.

 

Partenza di Bertrando del Poggetto ed assedio del Castello di Rudiano

Capitolo X - Da pag. 180 a pag 183

 

Bologna ed il contado presto sentirono il peso della si­gnoria di Bertrando. Un po' per la antipatia innata dei bolognesi verso la dominazione di uno straniero e più ancora per le spese, che la popolazione, doveva sostenere a causa delle guerre del Legato 1. Lo scontento si espandeva. I nobili riottosi approfittando di questo stato d'animo incitavano la folla verso il Signore. La manifestazione forte contro Bertrando si ebbe nella congiura ordita nel maggio del 1329. Fu diretta da Ettore da Panico, che i Modenesi avevano cacciato dalla podesteria, da Galeotto figlio di Paganino, dall'arciprete Galluzzi ed altri della fazione Maltraversa 2.

La trama fu scoperta per l'eccessivo numero dei congiurati. Qualcuno, fra i tanti, ebbe la lingua sciolta. Ne seguì un fuggi fuggi generale, ma alcuni caddero nella rete e fra questi l'arciprete Galluzzi, che fu lascialo morire in carcere perchè la Sua qualità di ecclesiastico vietava di sottoporlo al supplizio. I Panico scap­parono dalla città. L'aperta rottura fra Ettore ed il Legato ebbe subito ripercussione nel contado e specialmente nella montagna, dove fu sentita la necessità di rivedere e provvedere i castelli. Nel luglio 1329 i ribelli avevano già preso la Torre d'Africo, che fu tenuta contro gli assalti delle milizie urbane fino a tutto l'agosto successivo 3.

Il malcontento dei Bolognesi contro il Governo del Le­gato aumentava anziché diminuire. Questi cercava di reggersi appoggiandosi ora ad una parte ora a quella contraria finchè il giuoco terminò col perderlo completamente. Nel marzo 1334 i capi guelfi diretti da Brandeligi Gozzadini sollevarono il popolo e questa rivolta bi definitiva. Bertrando dovette da lì a poco abbandonare Bologna. E’ curioso che la folla nella sua avversione comprendeva il Legalo e la fazione Maltraversa, che era composta in gran maggioranza di elementi ghibellini e fra questi in primissima fila i Conti da Panico. La cronaca Rampona ed il Villola nel riferire gli episodi della cac­ciata del Legato narrano che “si se tre ad arme gridando” “Povolo Povolo” per la quale tracta si se gridò “Mora gli Cunti da Panego”. A questo remore fo morto Guidestro di Boatieri e Guizzardino figliolo di Zacharia di Teriaghi e fo incontenenti sbandezà Monzolo e Callo frategli della dita casa de Teriaghi e Cunti de Panego, et incontenenti gli Maltraversi aven dexa vantazo 4

Parrebbe che i Conti da Panico fossero stati favorevoli e difensori dei Legato. La cosa è incomprensibile se si pensa alla congiura ordita contro di lui da Ettore, il capo più autorevole di duella casa e dal suo congiunto Galeotto riusciti a stento a sfuggire al patibolo. E’ vero che nel 1332 un' altra trama contro il messo del papa ebbe per esecu­tori uomini di partito guelfo diretti, a quanto sembra, dallo stesso Taddeo Pepoli, il futuro signore della città 5 : ma è supponibile che per resistere a questo partito Bertrando dovesse affidare la sua difesa a uomini, che gli avevano tese continue insidie benchè i maggiori fra essi fossero stati da lui colmati di benefizi? E’ più logico pensare che una parte, la meno in vista, della numerosa famiglia dei Panico, forse per le abili direttive politiche dello stesso suo capo, seguisse il partito della Chiesa. Quando poi insorse il popolo condotto dai maggiorenti guelfi per cacciare il Legato fu da costoro, un po' anche con artificio, confusa insieme a quello la parte maltraversa sempre poco simpatica alla grande maggioranza dei cittadini. Ed è per questo che la partenza del Legato ci viene presentata dai cronisti come una sconfitta della no­biltà. Ed invero in questo tumulto vediamo, forse per caso ma non del tutto fuori dall'influsso di sentimenti e di tradi­zioni, riprendere il loro posto di combattimento gli antichi Geremei e Lambertazzi. I Popoli ed i Gozzadini antiche fa­miglie popolane sono contro i Panico, forti campioni ghibel­lini. Ma l'unione fra quelli sarà breve.

I Panico invece fedeli alla loro politica diretta a tenere in sollevazione la montagna per indebolire il Governo, occu­parono il castello di Rudiano, baluardo della difesa centrale dell’Appennino. Ciò avvenne il 26 luglio 1334.

Il 24 agosto le milizie bolognesi andarono per riprenderlo, ma subirono una sconfitta non inferiore a quella data loro da Doffo e Paganino al Sasso ventotto anni prima. Morirono in quell'assalto valorosi combattenti di ogni parte d'Italia: un Amorotto della Torre di Milano, un Franceschino di Man­tova, uno Stefano Balordi di Forlì ed un Opizzi di Lucca. Tutti questi, nota il Villola, erano contestabili, ufficiali cioè di alto grado militare, “e ne perzò no s’avè lo castello, che ve­ramente qui ch'erano dentro erano leoni e così se proorno” 6.

La cronaca Rampona con maggior proprietà nota che “quelli ch’eran dentro eran lupi et così se provorno” alludendo evi­dentemente all'appellativo di lupi rapaci, che veniva dato dal popolo ai feudatari ribelli. Ma o lupi o leoni i fieri Conti da Panico mostrarono di conoscere a meraviglia l'arte della guerra, che era la loro occupazione ordinaria. Il castello si arrese ai bolognesi per fame, solo quaranta giorni dopo, e precisamente il 3 ottobre 1334 e con tutti gli onori delle armi: piena salvezza degli averi e delle persone degli asse­diati 7. I Panico l'avevano tenuto settanta giorni precisi. La capitolazione a patti onorevoli, anzichè acquetare, imbaldanzì i rivoltosi. "Non volevano assolutamente venire a patti col Governo a vive tinte guelfe, che imperava in città. Unitisi ai Conti di Veggio si diedero con turbe di montanari a devastare il contado facendo preda, al dir del Ghirardacci, di uomini, donne, putti ed animali 8. Passati sopra Castelfranco incen­diarono molte case e posero in ruina tutta la contrada. Il Con­siglio di Bologna elesse due sapienti ogni quartiere della città per deliberare intorno al modo di ridurre all'impotenza e punire i ribelli. Fra gli eletti vi erano Taddeo Pepoli, che si avviava rapidamente verso la Signoria e Segurano della nobile casa di Monzuno fiera ed irriducibile nemica dei ghi­bellini da Panico. Radunarono un corpo di milizie, che con­dotte da abili comandanti si portarono verso Bazzano dove erano gli insorti, ma costoro si ritirarono rapidamente nel­l'alto Appennino dalla parte di Bombiana sfuggendo all'in­seguimento dei bolognesi. Costoro, vista la difficoltà dell'im­presa, vi rinunziarono e tornarono senz'altro in città 9. Così la montagna rimaneva in balia dei capi ghibellini accresciuti in autorità per lo scorno dato al Governo, mentre in città andava ogni giorno consolidando la supremazia Taddeo Po­poli, per origine e per sentimento, strenuo campione del partito guelfo.

Note:

1 Ciaccio op. cit. 184

2 Ivi: 187

3 Ivi: 185

4 Corpus Chronicorum 1334

5 Ciaccio op. cit. 484

6 Corpus Chronicorum 1331

7 Ivi

8 Ghirardacci 2, 122

9 Ivi

 

 

Arturo Palmieri

Arturo Palmieri (Scola di Vimignano, 24.9.1873 – Riola Vecchia, 9.6.1944), noto giurista e grande storico della montagna bolognese, autore del fondamentale La montagna bolognese del Medioevo, 1929, a partire dallo studio premiato al concorso Vittorio Emanuele nella Università di Bologna il 9 gennaio 1899, Degli antichi comuni rurali e in ispecie di quelli dell’Appennino bolognese, 1898, sviluppa una ricerca che nella montagna bolognese produce studi su Gli antichi vicariati dell’appennino bolognese, 1902, Gli antichi castelli comunali dell’Appennino bolognese, 1906, L’’esercizio dell’arte medica nell’antico Appennino bolognese: note di storia economica, 1911, Maestri comacini nell’antico appennino bolognese, 1912, Un probabile confine dell’esarcato di Ravenna nell’Appennino bolognese (Montovolo-Vimignano), 1913, Feudatari e popolo della montagna bolognese, 1914, Le strade medievali fra Bologna e la Toscana, 1918, Un castello imperiale in Val di Limentra: Savignano oggi Rocchetta Mattei, 1924, Un processo importante nel Capitanato di Casio. Per la storia criminale, 1925, La criminalità nella montagna bolognese alla fine del Medio Evo, 1928, In Rocchetta con Cesare Mattei: ricordi di vita paesana, 1931.

 

  MADONNA DI RODIANO

Un pò di storia

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Lavanda Val Di Pozzo

 Da: Chese della diocesi Bolognese

Di Luigi Ruggeri

 Da: Dizionario Corografico ....

Di Serafino Calindri

 

 

 

 

 

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LUIGI GRANDI  dal sito

http://www.greenpepper.altervista.org/territorio.html

 

Panorama dal monte Santa Barbara Scorcio sulla cima del monte S. Barbara Pietre angolari in arenaria e travertino, probabilmente recuperate dalle precedenti costruzioni Mattone manubriato  romano, quindi presumibilmente recuperato a sua volta da edifici ancora più antichi

 

L' antico oratorio di S. Barbara

Un cumulo di pietre in mezzo ad un bosco: sembra non meritare particolare attenzione. Uno dei tanti edifici che si sono trovati al posto sbagliato nel momento sbagliato e distrutti dalla seconda guerra mondiale, in un periodo nel quale non ci si permetteva alcuna sensibilità, tanto meno storico architettonica.
Siamo nel Parco Storico di Monte Sole e parlo delle rovine dell'oratorio di Santa Barbara, accanto alla cima del Monte che porta lo stesso nome, appunto distrutto dai combattimenti sulla Linea Gotica nel 1944/45.
C' era una volta (di preciso non saprei quando), presso la cima di questo Monte, il Castello d'Ignano, dei Conti di Panico, con accanto un oratorio dedicato a S. Giorgio.
Storicamente nel 1309 avvenne la distruzione ad opera dei Bolognesi, acerrimi nemici della famiglia Ghibellina dei Panico, del loro castello che si trovava presso un'ansa del Reno accanto alla Pieve di Panico e da allora questa famiglia di feudatari decadde,  tanto da scomparire nel volgere di un secolo assieme ai suoi numerosi castelli.
Certamente a metà del XV°secolo anche il Castello d'Ignano e l' oratorio di S. Giorgio non esistevano più perché un certo signore A. F. decise di costruire a proprie spese in quel luogo un oratorio dedicato a Santa Barbara, che divenne meta di pellegrinaggi popolari. Lo si raggiungeva prevalentemente dalla Chiesa di Santa Maria della Villa d'Ignano (ora sconsacrata) da cui dipendeva, percorrendo la strada, ora abbandonata, che saliva alla Volta.
Noi abbiamo raggiunto S. Barbara salendo dalla Pieve di Panico, S. Silvestro, Collina, Volta.
I ruderi dell'oratorio sono invasi dalla vegetazione, risultano ancora visibili porzioni di muri perimetrali con grandi pietre angolari in arenaria e travertino, probabilmente recuperate dalle precedenti costruzioni, e con una certa emozione abbiamo individuato nella muratura un mattone manubriato  romano, quindi presumibilmente recuperato a sua volta da edifici ancora più antichi.
Il ritrovamento di laterizi romani non è un fatto straordinario nemmeno nel Parco di Monte Sole (ricordo d'aver visto affiorare in passato frammenti di mattoni, embrici, esagonette pavimentali nei campi arati sotto San Martino), ma le pietre dimenticate dell'oratorio di S. Barbara, nello scenario del contrafforte pliocenico oltre la valle del Setta, ci hanno trasmesso una particolare suggestione.

Luigi Grandi 29 agosto 2011

 

Bibliografia:

Luigi Fantini. Antichi edifici della montagna bolognese. Volume II p. 501
Serafino Calindri.

 

copia per gentile concessione dell'autore. L'originale può essere consultato a questo link:  

http://www.greenpepper.altervista.org/territorio.html

 

 

 

 

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